La diaspora siciliana e la globalizzazione
Quest’anno a rappresentare l’Italia agli Oscar sarà una poesia più che una pellicola che ha anche un’altra particolarità che la rende forse unica nella storia del cinema italiano agli Oscar: il film non è recitato in italiano, ma in siciliano, tanto che da noi è stato distribuito con i sottotitoli (persino in Sicilia… sic!). Si tratta di Nuovomondo di Emanuele Crialese.
Da quando ho visto il film ogni tanto la sera mi soffermo su di un baule da viaggio di fine ottocento che tengo ai piedi del letto. Su di esso sono ancora incise con un punteruolo le iniziali della mia trisavola che, dopo essere emigrata negli Stati Uniti con la famiglia, decise di ritornare in Sicilia. Acquistò il baule, lo riempì e lo affidò ai facchini. Come esso sia arrivato sino a me, tra due guerre mondiali e la sistematica distruzione di tutto ciò che sapeva di siciliano e di popolare tra gli anni ’50 e ’70 del novecento, non saprei dire.
La diaspora siciliana, iniziata verso la fine dell’ottocento e di cui per breve tempo fece parte anche la mia trisavola, ha portato i nostri fratelli in giro per il mondo, come semi trasportati dal vento e scaraventati ai quattro angoli del globo. E dove questi semi hanno trovato terreno fertile, sono germogliati, ed i loro germogli hanno dato frutti.
E’ per questo che, per esempio, oggi il presidente di una multinazionale come la Mobil (ora Exxon-Mobil) può chiamarsi Lucio Noto, o l’allenatore della nazionale argentina di calcio Alfio Basile.
I siciliani non sono però l’unico popolo ad aver subito il dramma dell’emigrazione. In tempi più recenti abbiamo visto il popolo indiano esplodere su tutti i continenti a poco a poco salendo la scala sociale dai lavori più umili sino alla stanza dei bottoni di molte multinazionali.
Gli indiani, al contrario dei siciliani, hanno capito l’importanza della ragnatela creata da tutti quei figli della “Madre India” dispersi in ogni angolo del pianeta. E stanno richiamando indietro i loro emigranti tramutando in oro quella che a prima vista poteva sembrare una sconfitta oramai la certa: la perdita cioè del loro DNA più sano.
In tempi di globalizzazione, o meglio di ritorno ad un mondo globalizzato quale quello esistente ai primi del novecento, i flussi migratori diventano reversibili. L’economia moderna, basata più sulle idee che sugli ingenti capitali una volta necessari per intraprendere nuove attività industriali, rende l’emigrato che ha girato il mondo raccogliendo esperienze e magari qualche titolo di studio, una specie di mina vagante capace di sconvolgere i normali flussi di ricchezza sclerotizzati del novecento, riportandosi indietro il benessere nel frattempo prodotto e per giunta con gli interessi.
Sotto questo punto di vista per l’Italia l’emigrato meridionale sta passando da fonte di moneta pregiata (Roma ha lucrato e speculato non poco sulle rimesse dei meridionali all’estero, lucro poi ovviamente dirottato al nord…) a potenziale forza rivoluzionaria capace di scardinare i classici rapporti coloniali tra nord e sud instauratisi all’indomani della cosidetta “unità”.
In più l’emigrante (o i discendenti dell’emigrante meridionale dei secoli passati) non sono controllabili dai partiti e dai politici corrotti che hanno permesso il soggiogamento alle nordiche bramosie del popolo siciliano (e meridionale in generale) e sono immuni dalla coercizione culturale alla quale tutti noi siamo sottoposti giorno per giorno attraverso i media convenzionali.
Ritornando all’India, secondo dati forniti da The Economist, il 68% dei manager indiani che vivono attualmente negli Stati uniti stanno assiduamente cercando un’opportunità per tornare a casa. Non si hanno dati riguardanti i siciliani, visto che da noi la classe politica dirigente non ha alcun interesse alla cosa, ma possiamo immaginare che non sarebbero molto diversi da quelli indiani. Il problema è che non si fa niente per attirare imprenditori siciliani indietro dall’estero.
A questo punto la soluzione può essere un’altra: agire dal basso e spingere i figli della diaspora siciliana ad organizzarsi non solo come hanno fatto sino ad ora (e cioè per scopi culturali) ma anche con obbiettivi… rivoluzionari (mi sia consentito il termine, perchè quando ci vuole ci vuole!): la creazione di gruppi di pressione nelle nazioni di residenza affinchè la verità su quello che succede in Sicilia esca fuori dagli angusti circoli culturali, protestando per la mancata approvazione dello statuto regionale, per la continua messa in onda di film spazzatura italiani che continuano a diffondere l’idea di Sicilia quale terra di mafia (La Piovra viene ancora appositamente venduto dalla RAI in giro per il mondo), organizzando dimostrazioni di fronte alle ambasciate italiane, creando quei mass media siciliani che noi qui non abbiamo il permesso di avere (radio, sito internet, TV satellitari).
La rinascita della nostra nazione deve passare attraverso la totalità dei suoi figli, e solo così potrà avvenire. Ed avverrà. Ovviamente senza capovolgere tutto scordandosi poi di quei figli che sono rimasti in Sicilia: se Crialese nelle interviste parla del coraggio di chi è partito, bisogna anche riconoscere che se
la Sicilia è ancora una nazione con i piedi ben piantati sulla sua terra questo lo si deve soprattutto a coloro i quali hanno avuto il coraggio di restare (o di tornare).
Nuovomondo permetterà a tutti i siciliani nel mondo di chiudere il cerchio del loro peregrinare evocando ed esorcizzando il dramma che più di ogni altro ha segnato (anche inconsapevolmente) la loro storia: quella di un siciliano in Sicilia che può toccare il passato attraverso un oggetto testimone di quegli uomini e di quei fatti, quella di un siciliano di fuori che, figlio di emigrati, è idealmente tornato nel grembo della sua Madre Terra con un film capace di collegare da solo l’anima di Trinacria a quella di tutti i suoi figli.
Il Consiglio de l’Abate Vella
L’Altra Sicilia-Antudo
Movimento politico dei Siciliani “al di qua e al di là del Faro”