I Paesi scandinavi UE rivedono le loro politiche migratorie
Considerati da sempre come la Mecca dell’accoglienza, i multiculturali Paesi scandinavi Ue si sono accorti che le politiche migratorie perseguite sia dai governi social-democratici sia da quelli conservatori si sono dimostrate un fallimento e hanno deciso quindi di dover studiare misure atte a contrastare le conseguenze delle ondate migratorie.
Dagli anni ‘70 la Danimarca è stata oggetto di ondate migratorie provenienti dalla Turchia, dal Pakistan, dall’Iraq, dal Libano, dalla Somalia, dall’Iran e dall’ex Iugoslavia. Ben presto, nelle zone in cui si concentrava la presenza di popolazioni di origine non occidentale, le autorità si sono viste confrontate ai problemi del comunitarismo
A partire dagli anni 90 il governo inizia a contrastare i ghetti e le società parallele e da allora ha moltiplicato la sua legislazione adottando un quadro di programmi governativi che interessano i quartieri in cui la presenza di abitanti di origine non occidentale superi il 50%; quartieri in cui più del 60% di adulti non sia scolarizzata e dove il 2,7% dei maggiorenni abbia subito una condanna penale. Luoghi in cui la disoccupazione supera il 40% e dove i salari- per chi ce l’ha – sono inferiori del 55% a quelli del resto del Paese.
Presa coscienza del problema, il governo cerca oggi di contrastare ogni forma di comunitarismo. Sul tema abitativo, ad esempio, il governo conta di ridurre gli alloggi sociali del 40% entro il 2030. Per far questo, una parte degli immobili di proprietà dello Stato diventerà di dominio privato e gli attuali abitanti verranno espulsi. Nel settore scolastico, la proporzione di alunni d’origine immigrata non potrà superare il 30% e gli abitanti dei quartieri difficili avranno l’obbligo di mandare i loro piccoli all’asilo per almeno 25 ore settimanali, pena la perdita degli assegni familiari se non dovessero osservare la norma. Lo scopo è quello di impedire ai più piccoli le influenze familiari che li obbligano ad utilizzare la lingua d’origine impedendo di fatto la loro completa integrazione.
Sull’esempio della Danimarca, anche la Svezia, dopo anni di politica migratoria lassista, cambia attitudine. Forse la vittoria della coalizione delle forze di destra, unite proprio sul tema dell’immigrazione lo scorso settembre, è servita da deterrente ed a rimettere in discussione le politiche migratorie perseguite dal governo social-democratico negli ultimi 7 anni.
Così, prendendo in perfetto contropiede i tentennamenti dei Paesi membri Ue in tema di politica migratoria, il ministro svedese dell’immigrazione Malmer -Stenergard ha annunciato misure drastiche per porre rimedio sia all’immigrazione legale sia a quella illegale: misure che rappresentano oggi un cambio di rotta di 180° assolutamente inimmaginabile in materia di politica migratoria: la fine di un mito.
Nella proposta del ministro viene riproposta la fine degli automatismi sui ricongiungimenti familiari adottata dal precedente governo social/democratico e viene ridotta drasticamente dagli attuali 6400 a soli 900 la quota annuale di accoglienza ; vengono inoltre rinforzati i controlli alle frontiere e, per i migranti sprovvisti di documenti, viene istituito un nuovo registro ADN.
È giusto del resto ricordare che finora gli svedesi si sono dimostrati molto favorevoli all’accoglienza di migranti ed anzi, nel 2017, più del 53% di essi si diceva favorevole ad un aumento delle stesse quote previste dal governo. Qualcosa nel tempo ha però fatto cambiare opinione agli svedesi ed il 2015 può essere considerato la data del cambiamento. In rapporto alla sua popolazione, 9.474.355 abitanti proprio nel 2015, la Svezia è stato il paese più generoso dell’Ue in materia di accoglienza. In questo anno accoglie più di 160.000 richiedenti asilo e si calcola che tra il 2010 e 2016, in totale 450.000 rifugiati siano entrati in territorio svedese, il 67% dei quali musulmani.
Oggi l’8% della popolazione si dichiara di fede musulmana e, secondo gli ultimi studi pubblicati, nel 2050 questa cifra dovrebbe raggiungere il 30%. Naturalmente a lungo andare, l’accoglienza di un tal numero di individui, provenienti da culture differenti non può avvenire senza provocare mutamenti sociali e dare avvio ad una segregazione tale che, a detta dell’ex primo ministro socialdemocratico, Magdalena Anderson, la società svedese risulta oggi compartimentata in società parallele che vivono nello stesso Paese ma in realtà completamente differenti.
L’immigrazione ha di fatto portato tutta una serie di effetti negativi, primo fra tutti un aumento esponenziale della criminalità. Parallelamente al massiccio arrivo di migranti sono comparse bande criminali legate al traffico di armi e di droga.
Nel corso del 2021 si sono registrati 335 attentati, 46 morti e 112 feriti e secondo le autorità l’85% degli autori di questi fatti sono stranieri o provenienti dall’immigrazione.( maghrebini, africani e afgani )un fenomeno che le autorità svedesi denunciano ormai apertamente e a cui cercano di porre freno.
Di fronte al numero sempre crescente di crimini registrati nelle grandi città svedesi, il primo ministro conservatore Ulf Kristofferson, aveva qualificato i loro autori come “terroristi interni” ed aveva indicato due sole possibili forme di contrasto: arrestarli tutti, se cittadini svedesi, e nel caso di cittadini stranieri, espellerli con rito immediato dal Paese.
La Scandinavia suona quindi, in tema di migranti e dei problemi della loro accoglienza senza regole, un campanello d’allarme meditato e consapevole: un segnale che a volte sottintende misure che suscitano una certa perplessità -come la recente proposta del governo danese di spostare tutte le richieste d’asilo in Ruanda – ma che denunziano situazioni ormai insostenibili e servono a sollecitare questa Unione Europea ad interventi coordinati in tutti i suoi paesi membri perché il contrasto all’immigrazione senza regole diventi una priorità ormai non più rinviabile.
Eugenio Preta