Forum economico mondiale di Davos
Davos rappresenta a meraviglia le contraddizioni del mondialismo odierno: la distruzione di interi territori insieme agli ultimi afflati di civilizzazione rimasti.
Dal 16 al 20 gennaio, la piccola ed esclusiva stazione sciistica di Davos in Svizzera, accoglie annualmente, quasi tutti i più potenti del mondo per partecipare ai lavori del WEF, il Forum economico mondiale.
L’obiettivo del 2023 era stato preannunciato già dai lavori dell’anno scorso: avanzare sulla via della mondializzazione. Un tema che affascina le menti più semplici, che dispiega il tappeto rosso ai piedi dei dittatori del pianeta e poco importa se conduce l’Occidente intero sulla strada della desertificazione industriale, se distrugge territori rurali, se uccide l’ agricoltura ed accelera il dramma dell’ emigrazione.
Nel 2022 un grande democratico, XI Jinping, mentre si preparava ad invadere Taiwan, lanciava un allarme contro le iniziative che alimentano l’odio, aumentano lo scontro e costituiscono un pericolo per la pace e la sicurezza del mondo. A Davos il dittatore comunista aveva condannato ogni tipo di protezionismo e di multiculturalismo tra gli applausi degli incorreggibili mondialisti.
Quest’anno, in differita perché ammalato, il papà del mondialismo, fondatore del World Economic Forum di Davos, Klaus Schwab dirà che il sistema mondiale attuale è arrivato ad un punto critico con la pandemia Covid e la guerra in Ucraina che ne ha fragilizzato gli argini.
In apertura del Forum anche il massaggio lanciato da Monsieur De la Palisse: “A meno che i rischi sistemici interconnessi non vengano presi in considerazione, la promessa di un decennio di rinascita potrebbe tradursi in un ulteriore decennio di fragilità e d’incertezza”. Un messaggio che implicitamente sta a significare che la mondializzazione non ha dato i risultati sperati, che rappresenta un fallimento completo in tutti i settori e che sarebbe opportuno ritornare ad un’intesa tra Nazioni stabilizzate e protette dalle loro frontiere. Invece, al contrario, induce i mondialisti ad affermare come gli europeisti (niente di strano perché sono gli stessi) di fronte ad un bilancio per loro disastroso, se l’Europa recede è perché c’è poca Europa e quindi se la mondializzazione fallisce significa che ce n’è troppo poca. Classico discorso tipico di un ragionamento circolare di tipo settario, incurante della realtà.
Per fortuna però ci sono gli amici di Davos. Da oltre 50 anni il Forum economico mondiale offre ai potenti del pianeta uno spazio per discutere e poi decidere insieme misure che potrebbero servire a migliorare lo stato del mondo.
In un paesaggio stravolto dalle pale eoliche e ridotto al gelo dai Verdi, questi gentiluomini arrivati in jet tra spessi fumi di carbonio, dimostrano chiaramente di predicare bene e razzolare male e proprio loro discuteranno di energia, clima e natura.
Cercheranno di contrastare l’inflazione galoppante, la crescita debole e l’economia fortemente indebitata nel contesto di nuovi sistemi di investimento, commercio ed infrastrutture facendo aumentare, con facciatosta, il loro capitale, dal momento che queste élite autoproclamatesi, brillano soprattutto per le immense rovine che hanno causato e oggi cercano di sfuggire ad una resa dei conti che li incalza ormai da vicino.
Aver affidato l’avvenire delle nostre nazioni a gente capace di accumulare tanto potere, per poi presentare fallimenti così spettacolari, significa chiedere a Messina Denaro di far applicare la legge, ad Amadeus di cantare a Sanremo e a Gualtieri di far sparire i cassonetti ricolmi di spazzatura dalle strade di Roma.
Comunque, leggendo bene fra le righe, nel testo di presentazione di questo Forum di Davos si trova un barlume di lucidità: a un certo punto si dice che il ritorno della fiducia nel sistema mondialista necessiterà della collaborazione più stretta fra tutte le parti contraenti, per permettere al Forum di arrivare finalmente alla costruzione di un Villaggio economico e sociale mondiale. Intanto questo auspicato Villaggio globale sembra poter diventare effettivo solo …nel “metaverso”.
Eugenio Preta