Il tema della restituzione dei beni architettonici trafugati
Ritorna oggi d’attualità la vicenda dei marmi del Partenone esposti al British Museum che costituiscono da tempo motivo di conflitto tra il Regno Unito e la Grecia, una controversia che dura da tanto tempo ma che, secondo i corrispondenti della stampa estera presenti ad Atene potrebbe risolversi entro breve tempo se è vero che sarebbero in corso contatti segreti tra il museo inglese ed il governo ellenico per tentare di riunificare il celebre monumento conteso.
In effetti questi marmi, che rappresentano le mitiche battaglie tra i greci ed i centauri, erano stati rimossi dal Partenone all’inizio del’800, XIX secolo, da un diplomatico britannico Lord Elgin con l’autorizzazione delle autorità ottomane che a quel tempo occupavano la Grecia.
Grazie alle autorizzazioni ottenute dalla Porta ottomana – uno degli elementi architettonici più noti di Topkapi, residenza del sultano di Topkapi di Istanbul, divenuta sinonimo del governo ottomano – britannici e francesi si sono impegnati ad un vero e proprio saccheggio di quei siti archeologici trafugando letteralmente un numero importante di capolavori.
Storicamente già nel 1788, l’ambasciatore di Francia a Costantinopoli aveva ordinato al suo corrispondente ad Atene, il pittore e archeologo Fauvel, di saccheggiare tutto il possibile nel territorio di Atene, infatti una parte rilevante della sua collezione privata, si trova al Louvre dove si possono ammirare, tra le altre opere, la Venere di Milo e la Vittoria di Samotracia.
Per quel che concerne i figli di Albione, nel 1806 il già citato Lord Elgin fece man bassa dei tesori archeologici portando a Londra tutto quello che il suo omologo francese non aveva avuto il coraggio di trafugare, ed in particolare i famosi fregi in marmo bianco del Partenone insieme ad una cariatide del tempio di Atena situato sull’ Acropoli, a quel tempo trasformato dagli occupanti turchi in deposito di munizioni.
Sembra che il destino dei marmi più ricercati al mondo, appunto quelli che compongono i fregi del celebre tesoro greco ubicato sulla Rocca dell’Acropoli di Atene, si stia giocando ormai da parecchi mesi nel corso di discussioni segrete. Se i greci a questo punto dovessero ottenerne la restituzione, si aprirebbe il vaso di Pandora anche per molti dei più grandi Musei occidentali. A questo punto, i musei più importanti di Parigi, Roma, Berlino, Bruxelles e Madrid, più di tutti gli altri, potrebbero avviare le procedure per la restituzione delle collezioni, frutto delle loro politiche coloniali.
Certo, appare curiosa questa mania di studiare i fatti storici trasponendoli nella nostra epoca, cercando di giudicare la Storia. Tutte le antiche vestigia costituiscono la traccia della nostra cultura occidentale e sarebbe opportuno oggi chiedersi che fine avrebbero fatto se fossero rimaste nei loro luoghi originari.
Ad esempio la Grecia, all’epoca dell’occupazione turca, era sottoposta alla legge islamica ed il futuro dei monumenti sarebbe stato prevedibile, come avvenuto oltre un secolo più tardi in Afghanistan a Palmira ai Buddha di Bamiyan. E se poi la Storia non ammette repliche, tutto quello che viene tradizionalmente definito saccheggio in effetti non è stato che un salvataggio “salvifico”.
La tematica sembra vasta e complessa: come si può provare che un’opera sia stata effettivamente rubata e non regalata? A chi dovrebbe essere restituita l’opera se nel frattempo il proprietario è cambiato? Quale Paese sarebbe responsabile dell’opera trafugata?
Gli arabi che occupavano l’Egitto avrebbero veramente dei diritti sulle antichità egiziane che solo gli occidentali sono riusciti a scoprire e mettere in valore? E mentre le maschere, i quadri e le sculture sono state facilmente trafugate, che ne sarebbe stato degli edifici, delle chiese e di tutte le opere mobili? Ed ancora, Turchia, Libia o Tunisia avrebbero veramente il diritto di far pagare un biglietto simbolico per far visitare le rovine greco-romane esistenti sul loro territorio? A chi poi restituire un Rubens proveniente da un museo francese, al Belgio o alla Spagna?
Tanti interrogativi che originano un’ulteriore certezza: che si stia fabbricando ad arte un nuovo problema solo per mortificare ulteriormente la cultura occidentale. Del resto oggi fa talmente piacere una dose in più di pentimento.
Eugenio Preta