Forze turco-azere invadono l’Alto-Karabakh
Da oltre un anno si combatte in Alto-karabakh dove truppe dell’Azerbaigian, sostenute dalla Turchia, hanno riconquistato col sangue un territorio che l’Armenia aveva dichiarato unilateralmente indipendente nel 1991. In soli tredici giorni di combattimenti le forze turco-azere hanno riconquistato un terzo del territorio con l’impiego di armi convenzionali e di armamenti di alta tecnologia.
Una guerra ibrida accompagnata da una copertura mediatica a senso unico. E mentre Turchia ed Azerbaigian dispensano le loro verità, l’Occidente, una volta Cristiano, resta in silenzio anche se accenna a denunziare sempre sommessamente e a bassa voce le stragi e le deportazioni di intere popolazioni, impegnato invece, certo meritoriamente, a salvare i corsi d’acqua che esso stesso inquina, le foreste che abbatte e l’aria avvelenata sue fabbriche.
Nell’Alto-Karabach oggi vige un cessate il fuoco che la Russia ha accettato di verificare e si sta vivendo un’atmosfera irreale di finta calma, pervasa da tanta precarietà. Mentre la Turchia avanza sul territorio secondo la sua agenda di pan-islamizzazione egemonica, gli Stati Uniti – che proseguono nelle loro politiche strategiche nel sud-est asiatico – brillano per la loro assenza, a dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che la libertà non gli interessa assolutamente e solo la salvaguardia dei loro stessi interessi costituisce il motore di ogni loro azione peace keeping.
D’altra parte l’Europa, la piccola Europa dei mercanti e delle banche, resta silente e attende passivamente solo che finiscano i combattimenti. Oggi non ci sono più lacrime per gli armeni come non c’è ne sono state ieri per i cristiani d’Oriente. Non si tratta di vigliaccheria ma, peggio, di indifferenza. C’è stata un tempo la grande questione d’Oriente, cioè la questione del riassetto dei territori ottomani dopo il crollo dell’impero della Sublime Porta (impero ottomano). Quella questione, affrontata con la spartizione coloniale tra le grandi potenze europee, oggi si ripropone, divenendo la grande questione d’Occidente. Cioè il riassetto dei territori occidentali che alcuni soggetti giocano usando anche la carta dello scontro con l’Islam e della protezione dei cristiani di quelle terre. Questa protezione, rivendicata oggi come allora dai russi, fa dei cristiani dei Paesi arabi una pedina fondamentale della strategia neo-imperiale di Mosca, che si presenta come la grande depositaria della difesa degli antichi valori, della tradizione cristiana.
Dal 27 settembre dell’anno scorso i turco-azeri minacciano nell’ Artsakh, il Nagorno Karabach, la piccola enclave dell’Alto karabach popolata da 150.000 cittadini armeni, un piccolo popolo Cristiano abbandonato da tutti ed oggi minacciato di disparizione. Dalla prima guerra del Golfo ci siamo abituati ai bombardamenti notturni visti attraverso i filtri verdi dei binocoli a infrarossi ed abbiamo avuto lo stesso stupore infantile davanti ai tiri turchi sulla periferia di Chouchs.
Scomparsa dei valori, scomparsa della dignità fino alla scomparsa della stessa emozione che ormai ha ceduto il posto al divertimento. Un divertimento mostruoso per i figli perversi dell’Occidente obeso e indifferente. Non fingiamo che queste cose avvengano lontano dalle nostre case, piuttosto cerchiamo oggi di avere un pensiero di pace per l’Alto karabach, per i suoi monumenti secolari, le case e le sepolture familiari che i suoi abitanti hanno dovuto abbandonare alla barbarie. È il minimo che dobbiamo a queste sfortunate popolazioni armene.
Eugenio Preta