Dopo gli europei, i mondiali in Qatar
Razzismo e omofobia serviti per antipasto agli Europei; adesso i calciatori avranno da sbizzarrirsi ai mondiali in Qatar.
Con la scusa della genuflessione imposta in tutti i match, e con la richiesta della città di Monaco che voleva illuminare il suo stadio con i colori della bandiera arcobaleno della lega LGBT+1, proprio in occasione della partita con l’Ungheria colpevole di aver adottato una legge che vieta la promozione dell’omosessualità nelle scuole, l’Euro 2021 si è contraddistinto per la sua connotazione politica.
Una connotazione che specialmente i paesi dell’est hanno però respinto, consci sicuramente di cosa significhi effettivamente la parola libertà dopo esserne stati depredati per anni dal regime sovietico ma che altri paesi, purtroppo l’Italia tra questi, ha condiviso senza batter ciglio.
Un calciatore francese del resto, Griezman, non solo ha postato in un messaggio internet lo stadio di Monaco con i colori arcobaleno ma addirittura si è immortalato in un selfie con il pugno chiuso.
Queste manifestazioni hanno dimostrato che gli atleti, molto più di quanto succedeva nel passato, oggi sono pronti ad impegnarsi sulle tematiche di società, come il razzismo e l’omofobia, due temi che saranno particolarmente sensibili in Qatar dove si svolgerà la prossima coppa Rimet, il mondiale di football 2022.
Manifestaranno la stessa sensibilità i nostri eroi in mutande proprio in Qatar dove una delle specificità del Paese riguarda la discriminazione razziale?
I Quatarini sono minoritari e rappresentano soltanto il 10% dei 2.500.000 abitanti, secondo le cifre 2018 fornite da quel ministero della pianificazione territoriale e delle statistiche . Minoritari ma certamente non accoglienti sia perché l’emirato non ha regolamentato nessuna nozione legale di quella che in Occidente viene definita discriminazione razziale, sia perché questa è strutturalmente rivolta solo verso i lavoratori stranieri che, specialmente quelli provenienti dal sub continente asiatico, sono trattati come nuovi schiavi.
Del resto anche l’Onu, in un rapporto dello scorso aprile ha espresso grave preoccupazioni per la discriminazione razziale esistente in Qatar nei confronti degli stranieri, problema rilevato anche da un articolo del Guardian, nel febbraio scorso, che ha riportato la morte di oltre 6.500 lavoratori migranti deceduti nei cantieri delle infrastrutture quatare.
Se poi qui in Occidente l’Ungheria costituisce il bersaglio privilegiato degli sportivi più sensibili alla situazione delle persone LGBT+1, malgrado nel Paese l’omosessualità sia stata depenalizzata per legge nel 1961 e le unioni civili autorizzate dal 2008, la logica dovrebbe farci prevedere ben altre forme di protesta in Qatar dove il codice civile prevede una pena a partire dai tre anni di prigione per l’incitamento alle relazioni omosessuali senza definire se ogni relazione omosessuale sia proibita effettivamente e se la eventuale condanna debba riferirsi ad entrambi i soggetti implicati.
Ma aldilà del codice penale, è la legge islamica, “la charia” che vige nel Paese a dover preoccupare i nostri sensibili calciatori. Così gli atti sessuali compiuti al di fuori del matrimonio possono essere puniti con la flagellazione, una pena che secondo l’osservatorio ONU dei diritti umani non è mai stata applicata soprattutto quando si tratta di punire le unioni omosessuali consenzienti.
Malgrado una legislazione che definire retrograda punirebbe i nostri sistemi giuridici, le autorità quatare, sicuramente per esigenze di ospitalità hanno dichiarato di voler far prova di democraticità impegnandosi a proteggere ogni persona omosessuale che assisterà alle manifestazioni calcistiche ed in più, di permettere liberamente negli stadi l’esposizione persino della bandiera arcobaleno.
Ancora sotto l’entusiasmo dell’ultimo europeo, ad un anno dal mondiale in Qatar, nessuna federazione calcistica sembra aver ancora preso posizione, fatte salve le genuflessioni pre-partita degli anglosassoni e le azioni dei calciatori tedeschi che hanno indossato una maglietta con la scritta “human rights” nella partita eliminatoria contro l’Islanda. Un’azione che è apparsa a molti pleonastica perché ripetuta anche dalle squadre danesi e norvegesi.
Per tutte le altre federazioni ed in particolare in quella italiana, dove regna entusiasmo per la vittoria ottenuta, attualmente il problema non sembra esistere e tutte si sono imposte soltanto il famoso silenzio stampa.
Eugenio Preta