La “decostruzione” modernista di scritti ed eroi uccide il futuro
Da circa un anno ormai le manifestazioni Black Lives Matter invadono il nostro mondo. Ci si inginocchia negli stadi, nelle aule, all’inizio di un evento mediatico. Che queste manifestazioni possano essere legittime o meno, non è questo il problema.
Il fatto è che, arrivato in Europa, questo movimento ha iniziato un’opera di revisione di scritti, poemi ed eroi, molti anche controversi e datati, ma in una aberrante ignoranza della Storia e come sua primaria attività ha pensato bene di imbrattare e danneggiare statue e monumenti con la sola motivazione che tutto quello che è storia sia criminale.
La risposta a questa campagna in atto dovrebbe essere quella di non rassegnarsi, almeno cercare di salvaguardare i monumenti presi a bersaglio e di impedirne la distruzione.
Non sembra concepibile infatti che nella nostra società del III millennio, una minoranza possa pensare di distruggere, insieme alle tracce di un passato che dovrebbe pur venire rivisitato, opere che appartengono all’intera collettività e per di più lo possa fare nel disinteresse dei poteri pubblici.
Oggi il patrimonio collettivo delle nostre città subisce continuamente alienazioni e sfregi sia per ignoranza, sia per vandalismo, oggi anche per obbedire a sedicenti rivendicazioni politiche.
Le città si imbruttiscono di giorno in giorno; abbiamo assistito, ed ancora assistiamo, alla distruzione di edifici storici e persino di Chiese solo per fare posto a immensi immobili uniformi, condomini e supermercati completamente inadatti a sostituire le opere di cui vorrebbero prendere il posto.
Il ferro ed il cemento hanno livellato verso il basso le architetture urbane e, come se ciò non bastasse, le stesse statue e i monumenti che abbellivano le nostre città hanno perso il loro antico significato, anzi continuano ad essere degradati, coperti di scritte sconce e lasciati all’abbandono.
Purtroppo il discorso di scomposizione della nostra Storia viene accettato nel silenzio dei poteri pubblici e dei media.
Com’è avvenuto troppo spesso ormai, seguiamo le mode che arrivano da oltre oceano senza motivo e per di più senza chiedercene la ragione, come l’ultima follia di dover acclamare anche chi presenta l’idea più assurda.
Il concetto di rimettere in causa il passato sta avanzando dappertutto: nelle università, nei partiti politici e in parte della popolazione.
Purtroppo molti sono spinti da un irrazionale fanatismo ideologico, molti anche da una assurda voglia di oscurantismo.
Nel dibattito pubblico manca l’orgoglio della Storia anche se, per fortuna, in tanti sembrano rifiutare questo stato di cose. Certo si tratta di una maggioranza silenziosa, addormentata ed incapace di mobilitarsi pur se si dichiara sempre rispettosa della Storia e indisponibile oggi a cancellare i segni, anche controversi, del passato.
La storia è il collante che ci unisce realmente ai nostri anziani e il patrimonio collettivo è il cemento che ci collega materialmente al nostro passato: due concetti che vanno di pari passo.
In un epoca storica di contrasti sempre più preoccupanti, il senso della posterità dovrebbe servire almeno a definire un denominatore comune.
Come diceva Andrè Malraux, il ministro della cultura del generale De Gaulle, attraverso l’osservazione dei monumenti gli uomini superano i loro odii e le loro guerre e si ritrovano fratelli.
La sola soluzione per vincere il “decostruzionismo” odierno della Storia potrebbe essere quella di cominciare ad insegnare la Storia in maniera più obiettiva, analizzando le cose buone e quelle cattive del passato senza nasconderne i momenti conflittuali, ma andando al di là di ogni ideologia e soprattutto senza lasciarsi impietosire dalla memoria.
Eugenio Preta