Una componente essenziale della persona: la sua identificazione
Non c’è alcun dubbio ad ammettere che, nella gravosa conduzione della maternità, le donne siano molto più generose degli uomini: trascorrono nove pesanti mesi senza potersi concedere alcuna pausa, soffrono disordini di ordine fisico, ormonale e psichico, subiscono poi il parto e le cure seguenti e soprattutto soffrono le modifiche temporanee o permanenti del loro corpo senza ricevere mai prova di gratitudine da parte dei mariti ne’ dei figli.
Però è la natura stessa a non aver mai permesso che i ruoli dell’uomo e della donna potessero invertirsi e divenire interscambiabili.
Nonostante il delirio delle donne trans-gender che, pur se si sono impegnate ad identificarsi come maschi , continuano a condurre in prima persona la maternità e a partorire i figli e, almeno finché l’ectogenesi non sarà divenuta realtà, solo loro potranno diventare madri e originare i figli: è la natura!
Non c’è dubbio del resto che, da parte sua, l’uomo doni i geni che ha ereditato dai suoi genitori, non tutti, ma almeno la metà, e che l’altra sia demandata alla responsabilità della donna: una specie di lotteria biologica.
A volte, all’annuncio di una gravidanza, l’uomo può diventare vile e scappare oppure offrire riparo e protezione alla madre e al suo bambino, altre ancora, fortunatamente più spesso, può decidere di formare una famiglia, questo ectoplasma cioè dove i figli possano crescere circondati dall’amore e dalla protezione dei due genitori.
Gli attuali Soloni, progressisti “costi quel che costi“, hanno trovato nel sistema di obsolescenza programmata delle coppie e delle famiglie un motivo di lotta che hanno deciso di intestarsi per combattere e vincere.
A priori però è ancora l’uomo a dare il suo nome alla famiglia , un patronimio indissociabile che si trasmette alla generazione che seguirà.
La scelta del nome può durare anche per tutti i fatidici nove mesi , dar luogo a discussioni omeriche che spesso diventano vere e proprie liti, originare occasioni di ricatto, persino compromessi , ma una volta venuto al mondo il neonato ha bisogno di un cognome.
Le norme dello stato civile tuttora vigenti richiedono un cognome che, a meno di decisione contraria, sarà quello del padre anche se la legge ha già creato una serie di deroghe che permettono, ad esempio, l’apposizione del cognome materno o un cognome composto da quello dei due genitori.
Naturalmente le femministe sono insorte denunziando come, attualmente, l’80% dei neonati porti solo il cognome del padre, ed in contrapposizione ad una tradizione che ritengono arretrata, hanno fondato associazioni – condivisibili del resto- che lottano per rendere automatica la concessione del doppio cognome al neonato , l’aggiunta del cognome materno come tutela in caso di separazione e hanno preteso che la madre possa validare la dichiarazione del nome e del cognome presso i registri dello stato civile
Nel momento in cui ormai la filiazione pare divenuta un progetto modulabile e persino revocabile , lo stato civile diventerebbe una specie di mercato dove in qualche modo si potrebbe contrattare e mercanteggiare una componente essenziale della persona : la sua identificazione.
Il buon senso comporterebbe che, preventivamente ad ogni mescolanza di gameti, i protagonisti possano trovare un accordo preventivo e duraturo nell’ottica di poter affrontare tutti i rischi che possono insorgere dalla procreazione conseguente alla loro attività sessuale.
I più realisti hanno intravisto in queste manovre sull’identificazione del neonato un nuovo attacco contro la paternità e la filiazione , ma sono stati subito redarguiti come dei veri paranoici.
Resta che , nel solco di un diritto di famiglia che subisce continuamente gli attentati di un progressismo spesso senza senso, si delinea una logica sempre più perseguita : quella di un padre ,avvertito ormai come l’eterno inutile.
Eugenio Preta