I PUPI SICILIANI E I… PUPARI ROMANI

Ragusa, 5 Aprile 2001

È destino: solo un balordo e deprecabile fato avrebbe potuto concentrare, in usa sola regione, la Sicilia, tanta inettitudine.

Inettitudine distribuita ampiamente in ampia fascia della popolazione e, in special modo, tra la classe politica. Se, ai tempi delle scorrerie del brigante Garibaldi, fu la classe dirigente di allora, i grandi latifondisti, a svendere l’Isola agli affamati Savoia, oggi sono i politicanti a rinverdire i “fasti” di allora.

Politicanti che si sono succeduti con incredibile inutilità a tutti i livelli, locale, nazionale ed europeo, avendo la sola cura di mantenere la propria poltrona con i relativi privilegi.

Da terra dalle enormi potenzialità, la Sicilia è stata trasformata in terra di conquista da offrire in dote al primo venuto, perpetuando quell’atavica condizione di terra dominata da tutti. Fenici, greci, romani, arabi, svevi, spagnoli e chiunque altro ha trovato sempre un posto su cui poggiare le proprie terga appena giunto.

Dopo la cosiddetta unità d’Italia, si sperava che qualcosa cambiasse e che i siciliani, da sempre dominati dagli altri, cominciassero a prendersi cura di se stessi. Ma, nei decenni, né il siciliano Crispi, né il siciliano Sturzo, né nessun altro figlio (?) di questa Isola è stato capace di cambiare il corso degli eventi.

Relegati al ruolo di “ultimi”, i siciliani abbiamo sopportato pazientemente ogni angheria ed ogni contrarietà mostrando una dignità, mista a disillusione, assai rara.

Ma può la pazienza essere infinita? Ovvero, possono, i “signori” di Roma permettersi di passare sulle nostre teste con le loro mannaie senza che un solo grido di sdegno di alzi? Evidentemente possono, e lo fanno. Infatti, mentre ribolle quel vergognoso calderone delle candidature, che solo ora il presidente del Senato Nicola Mancino ha capito quanto sia schifoso, con tutti i papaveri protesi ad accaparrarsi il collegio più sicuro, la solita pattumiera, la puttana di tutti, la dimenticata, la Sicilia insomma, riceve in dono le attenzioni che le sue genti mai avrebbero chiesto né preteso.

“Il laboratorio” siciliano, come si dilettano a definirlo gli alchimisti fasulli della politica, riceverà in dote nomi che fanno venire la nausea solo a menzionarli. Ad esempio: poiché nessuno li voleva perché troppo legati al passato dell’allegria di Tangentopoli, la Casa delle libertà si è concesso il… privilegio di candidare Bobo Craxi, figlio del “Cinghialone” a Trapani, mentre l’ex ministro Gianni De Michelis farà il capolista nel proporzionale della Sicilia orientale.

Se questa non è sfrontatezza, per lo meno è presa per i fondelli.

Che ci fanno un milanese ed un veneto nelle liste siciliane?


E che ci fa un bolognese, l’ex portaborsa di Forlani Pieferdinando Casini?


E perché non spendere nomi più credibili e meno “inquinati”?


Si dirà che anche l’Ulivo sta piazzando gente a casaccio purchessia, ma non è un valido argomento per riesumare dalle catacombe della giustizia chi ha già dimostrato di non essere lindo. Achille Occhetto, con un primo sussulto di dignità, ha rifiutato la candidatura ad Agrigento (sebbene si sia poi “coricato” in Calabria), ma non ha fatto la stessa cosa Luciano Violante che, da alcuni mesi, chissà per quale motivo (!?!), ogni fine settimana era a Palermo per qualche inaugurazione o qualche convegno con relativa e puntuale intervista del prono Tg3 regionale della RAI.

Sicilia terra di immigranti.


E così è successo che anche un ministro uscente, Sergio Mattarella, è dovuto uscire dai confini dell’Isola per migrare nel Trentino, dove è stato accolto in malo modo, avendo dovuto lasciare il posto al ribaltonista ministro Cardinale.

E, a proposito di ribaltonisti e “puttani” della politica, come li ha definiti Gianfranco Fini, la situazione non è meno rosea. Il principe assoluto della categoria, Totò Cuffaro, sarà in lista nella quota proporzionale della Sicilia occidentale in attesa di involarsi verso la presidenza della Regione che gli è stata già concessa dalla Casa delle libertà. Assessore regionale all’agricoltura con ben quattro governi diversi (Provenzano, Drago, Capodicasa dopo il ribaltone, Leanza dopo il controribaltone), ha mantenuto la poltrona nonostante le turpi vicissitudini del parlamento di Palermo ed ha guidato la pattuglia dei centristi che hanno dato vita al rientro nel Polo dopo la fragile esperienza del governo Capodicasa. Evidentemente deve avere tante e tali qualità da indurre chiunque a sceglierselo come pedina inamovibile.

Altro esempio di specchiata fedeltà è il senatore modicano Riccardo Minardo. Ex Dc, è stato eletto nel ’96 in quota Ccd che poi lasciò per aderire all’Udr di Cossiga prima, e Udeur di Mastella poi, andando a votare il governo D’Alema. Posizione abbandonata dopo qualche mese con rientro in pompa magna nel Polo attraverso le molte voraginose falle di Forza Italia.

Il “puttano” Minardo dovrà fare ingoiare mille rospi agli elettori che ha già turlupinato una volta, ma già Alleanza nazionale giura che non lo voterà più. Un segno di ribellione?


Forse. L’importante è crederci e non farsi calare dall’alto decisioni che mai verrebbero prese in considerazione qui in loco. Come la candidatura dell’ex notabile Dc Calogero Mannino, anch’egli implicato in processi non ancora chiusi, sostenuta a gran voce da quel Rocco Buttiglione che, per portare qualche voticino in più al suo Cdu, sta riesumando altri “cadaveri” della prima repubblica in odore di tangenti e di mafia.


L’operazione Mannino ha avuto il veto di FI che, a sua volta, candida un altro politico della prima repubblica di cui si sarebbe fatto volentieri a meno: l’ex socialdemocratico Carlo Vizzini. Personaggi che, dopo anni di potere consolidato, hanno creato una robusta rete di clientele sicuramente ancora efficiente.

Sono solo alcuni esempi, ma sono altamente significativi del ruolo e del peso che ha la Sicilia nell’agenda di governo degli schieramenti politici. Parlano di ponti, autostrade, ferrovie (nel suo pellegrinaggio in treno per l’Italia, Rutelli non ha fatto tappa a Ragusa: provincia dall’economia florida e dalle infrastrutture degne del quarto mondo!!), lotta alla mafia e poi scivolano sulla classica buccia di banana.

Allora diciamo la verità: la Sicilia non interessa a nessuno, e qualcuno se ne ricorda, ogni tanto, solo quando deve condire i suoi sermoncini con la lotta alla mafia. Serve, anche, come serbatoio di voti quando c’è da rapinare consensi che, a ben guardare, vengono elargiti a gente che poi li usa contro quegli stessi elettori che glieli hanno concessi.

Dunque, non ci resta che lanciare un accorato appello a tutto il popolo siciliano: SU LA TESTA, AMICI!! Alziamo il capo che da troppo tempo teniamo chino in segno di ossequiosa prostrazione verso gente che non merita nemmeno di essere menzionata.

Facciamo volare alto il nostro sdegno, la nostra rabbia civile e il nostro disappunto contro chi, da Roma e con complicità locali, si arroga il diritto di disporre di noi come se fossimo marionette inanimate.

Se è vero che la Sicilia è la terra dei “pupi”, è anche vero che certamente i “pupari” non stanno a Roma. Lì ci sono solo arroganti, maneggioni, trafficanti di voti, ladri di consensi e maghi che, con le fumisterie delle loro improbabili alchimie, cercano di gettarci fumo negli occhi per non farci scorgere la verità.

E la verità è una sola: NON ABBIAMO BISOGNO DI LORO. Perché ci hanno tormentato e sfruttato anche troppo.

Giovanni Cappello –

L’Altra Sicilia – Ragusa