Amen e awoman
Il nuovo anno è iniziato con grandi aspettative per gli Stati Uniti finalmente entrati in un’aurea epoca progressista, dopo il lungo inverno a cui li aveva ridotti il presidente Trump. Gli avvenimenti recenti ci dicono che sembra aprirsi un nuovo capitolo radioso nelle coscienze civili americane, finalmente liberate dall’odiosa accezione dell’esclusione.
L’attualità registra quanto accaduto domenica scorsa, in apertura della Sessione plenaria del 117esimo Congresso americano. Un anziano senatore democratico, Emanuel Claver, pastore metodista, afro-americano e difensore dei diritti civili davanti all’Eterno, ha scelto di recitare la sua preghiera concludendo non con il tradizionale “Amen”, ma ha voluto aggiungere il suo tocco distintivo ed innovatore: “amen e awoman”.
Tutti ovviamente sanno che “amen” in inglese, spagnolo, caraibico, italiano e soprattutto in latino si traduce con “così sia”. Ma nei tempi che viviamo, le menti migliori con un fantastico volo pindarico, hanno voluto sottolineare come nella locuzione amen ci sia proprio quel “men“ sessista, inteso come il plurale di “man“, uomo.
Implicitamente queste belle teste hanno dedotto che laddove ci sono gli uomini c’è evidentemente la cosiddetta “uomineria “, come definiva San Francesco di Sales tutto quello che riguardava l’uomo e che oggi, per un ricercato senso di parità, di eguaglianza tra i sessi e di non esclusione portato avanti da media, politica e società, ci debba forzatamente essere posto anche per “la femmineria”, tutto quello cioè che implica l’universo femminile. Conseguentemente quindi, dove c’è “amen“ ci deve pur stare anche “awoman”, con buona pace dell’intelligenza, del raziocinio e della cultura.
Ma siamo pur sempre in America, il regno del possibile, quindi sembra che nessun linguista sia insorto e neanche alcun giornale progressista o repubblicano abbia ritenuto di dover reagire a questa innovazione semantica. Ma questione semantica o tecnologica che sia, nessuno ha voluto reperire nel neologismo la crassa ignoranza che stravolge ogni senso compiuto e tutti hanno tenuto a sottolineare, da parte democratica ad esempio, finalmente l’inizio di un nuovo modo di concepire le cose, da parte repubblicana, invece, l’avvento della follia radicale.
Del resto la stampa progressista, ben lungi dal correggere la incongruente trovata del sen. Cleaver, ha invece titolato che i repubblicani non hanno capito la finezza del pensiero del senatore che mirava soltanto a sottolineare il concetto di inclusione, facendo passare volutamente in secondo piano la “battutaccia” del pastore in fin dei conti assai ridicola per non dire grottesca… davvero “exit iniuria verbis”.
Eugenio Preta