L’eleganza del modello occidentale va difesa e divulgata
Il velo islamico, indossato da quelle donne venute da lontano che abitano ormai le nostre città, rimaste orgogliosamente legate alla loro identità originaria, rappresenta certamente una sfida di civiltà.
Distanti dall’esagerazione dei giudizi e per sdrammatizzare ogni ipotesi di conflittualità, diciamoci soltanto che si tratta di un pezzo di stoffa. Chiediamoci invece che cosa ne è stato della nostra tradizione vestimentaria, ormai senza eleganza nè distinzione, incapace di rappresentare la vera identità occidentale. Quasi dimenticata, per esempio, la tradizionale eleganza italiana con i suoi creatori di stoffe e di tagli impeccabili, come quella francese e quella dei maestri anglosassoni creatori di conce inimitabili.
La ricchezza degli abiti occidentali, frutto di una tradizione cristiana che non ha mai temuto la sperimentazione di nuove forme e nuovi tessuti nè le dimensioni variabili o le diverse tipologie dei corpi che li avrebbero indossati. Che fine hanno fatto i vestiti da cerimonia o quelli da sera? Che ne è stato di quell’impegno nella scelta del vestito per uscire con gli amici o le regole di stile ben precise da seguire per partecipare a un concerto o ad una rappresentazione teatrale?
Il velo islamico è percepito oggi come un’arma, il simbolo di un esercito pronto a una guerra perché oggi le guerre non si combattono più solo con le armi e la Storia, da tanto tempo, ci ha insegnato che la vittoria non resta un episodio isolato ma deriva dalla convinzione e dalla fierezza di ciascun combattente.
Le donne occidentali indossavano velette e cappelli nelle nostre Chiese, i religiosi portavano il saio con fierezza ed umiltà prima di abbonarsi al clergyman, nei parlamenti era richiesta una tenuta formale per dare valore alla rappresentanza dei cittadini, gli uomini si toglievano il cappello quando entravano in chiesa o cedevano il passo ad una donna. Comportamenti, simboli che erano il frutto di una potente storia culturale di donne ed uomini fieri di esibire la loro identità, la loro cultura, il loro essere più profondo.
Oggi che la situazione appare particolarmente difficile e sembra essere diventato necessario disarmare i portatori di coltello venuti a sgozzarci, è giunto il momento di ritrovare una dignità che possa contribuire a farci riscoprire i nostri modi di essere, dall’abbigliamento al comportamento, con eleganza accresciuta, un modo per dimostrare la sostanza della nostra eccellenza e la voglia di opposizione alla decadenza annunciata.
Le epoche storiche che hanno permesso all’occidente di affrontare e vincere l’Islam conquistatore, sono state caratterizzate anche dalla magnificenza e dalla ricchezza del nostro quotidiano, del nostro modo di vestire, dalla classe delle nostre donne e dei loro cavalieri. Al loro confronto le tuniche dei musulmani suscitavano tristezza infinita, quasi una forma di debolezza di una civiltà che dimostrava chiaramente il divario con quella cristiana abile sicuramente ad integrare e a superare le differenze.
Solo ricatturando quel gusto per le antiche bellezze, l’Occidente potrà riuscire a creare un nuovo quadro culturale di integrazione, un metodo di contrapposizione che abbiamo smarrito da tempo, da quando cioè abbiamo smesso di credere in un’identità di cui oggi sembra quasi vergognarci, dalla sfera dell’eccellenza del nostro comportamento ia via a tutti quelli societari più importanti.
Invece di aver paura dovremmo fare amare il nostro modello occidentale non facendo ricorso a gratuite volgarità, volute bruttezze o ricercate provocazioni ma piuttosto suscitando l’ammirazione, il desiderio, l’attrazione.
Sono tanti i musulmani che vivono ormai in Europa e la maggior parte di loro lavora e si è bene integrata, sedotta e affascinata dall’esempio occidentale che rispettano e seguono e non vogliono assolutamente cedere – finché avranno il nostro rispetto – agli estremisti di Allah che cercano in ogni modo di attirarli e radicalizzarli.
Eugenio Preta