Le tensioni nel Mediterraneo ripropongono la questione della reale efficacia dei “grandi insiemi“
I mille “mediterranei” di Fernand Braudel e quel Mare nostrum di una volta, perturbato oggi da guerre e migrazioni selvagge, ritornano a minacciare la serenità di un’Europa incapace. Dopo le guerre siriane, le gesta di Daech e le continue rotte dei disperati – argomenti ormai sviscerati dai media – una nuova minaccia di crisi agita le rive sud-orientali del bacino.
Sempre alla ricerca di nuove provocazioni e soprattutto del gas nelle acque territoriali greche, la Turchia di Erdogan continua a minacciare il precario equilibrio della regione, questa volta inviando la Oruc Reis, un battello specializzato nella prospezione dei fondali, nel bel mezzo delle acque elleniche e nell’ignavia preoccupante delle autorità europee.
Il silenzio dell’Europa è stato interrotto dal presidente francese Macron che, andando a monte della contestazione europea, aveva minacciato di inviare navi ed aerei da combattimento e la possibilità di ricorrere anche a sanzioni economiche per dissuadere i turchi dalle loro manovre di prospezione marina. Così, dopo un mese di ricognizioni e di tensioni, l’Oruc Reis è ritornata nel Bosforo, forse in segno di distensione o per la notizia, trapelata nei giorni scorsi, del rafforzamento dell’aviazione greca con l’acquisto di 18 nuovi caccia Intercettatori francesi, “rafal”.
Le autorità turche avevano comunicato che il ritorno della Oruc Reis rientrava solo nei normali piani operativi e non significava certamente che la Turchia avrebbe abbandonato la tutela dei suoi diritti nel mediterraneo orientale. Anche se Grecia e Turchia hanno riaffermato la necessità del dialogo per risolvere la questione, la guerra delle parole sembra continuare ed aumentare d’intensità.
I turchi hanno attaccato la Grecia e soprattutto la Francia, accusata di aver preso la leadership della contestazione greca e cipriota nella regione; una querelle che ha preso avvio dalle dichiarazioni di Macron in Corsica che, nel corso della conferenza Med 7, aveva affermato che il popolo turco sarebbe stato meglio senza più Erdogan come presidente.
Erdogan, al contrattacco, aveva intimato al Presidente francese di smetterla con gli attacchi personali, ricordandogli che la storia dell’Africa era impregnata dagli interessi della Francia e che i francesi, responsabili dell’assassinio di migliaia di persone in Algeria, non erano certo i più adatti a dare lezioni di umanità.
In tutta la vicenda ritorna prepotente la questione dell’utilità dei grandi organismi europei e mondiali e, alla luce degli avvenimenti più recenti, anche l’opportunità di mantenere in vita organismi che si dimostrano sempre più inefficienti.
Grecia e Turchia, ad esempio sono membri della Nato già dal 1952. Unite sotto l’egida della NATO contro la minaccia di un nemico scomparso dopo la dissoluzione del patto di Varsavia, attualmente sono ancora in uno stato di conflitto latente per la questione dell’isola di Cipro, paese membro dell’Unione europea, eppure diviso in due dall’occupazione militare turca, in contraddizione con gli stessi trattati costitutivi europei che prevedono azioni di difesa comune quando un Paese membro viene attaccato da forze esterne.
Si vis pacem, para bellum, l’esempio congiunto della effettiva valenza di due “grandi insiemi”: NATO e UE, due organismi creati per difendere i Paesi membri l’uno e, creare avvenire, progresso e sviluppo l’altro, oggi costituisce la prova manifesta della vuota retorica e dell’inefficenza ormai raggiunta dai tanto celebrati “grandi insiemi“.
Eugenio Preta