Brexit: a che punto siamo?
Il governo di Sua Maestà britannica ha presentato alla Camera dei lord un progetto di legge per correggere le condizioni poste dalle autorità di Bruxelles su alcuni aspetti dell’accordo Brexit. Tale progetto di legge interviene specialmente sulla parte relativa al Protocollo d’intesa sull’Irlanda del Nord che, secondo Boris Johnson, Bruxelles sta minacciando di portare agli estremi radicalizzandone l’interpretazione e utilizzandolo come chiave di convinzione per costringere i britannici ad accettare le condizioni imposte dagli europei.
Effettivamente le istituzioni europee hanno lanciato un ultimatum a Downing Street chiedendo al governo britannico di ritirare prima della fine del mese il progetto legislativo controverso. Sembra però che la banda dei leader europei non abbia veramente altro da fare che passare il tempo a lamentarsi delle leggi preparate dall’imperdonabile Boris Johnson, capo di un governo che difende innanzitutto gli interessi del suo popolo. La stessa solerzia questi leaders europei, però, non sono capaci di dimostrarla quando, ad esempio, si distendono a zerbino davanti alle elucubrazioni di Erdogan.
Johnson ha avvertito i britannici delle manovre subdole dei negoziatori europei che esercitano un vero e proprio ricatto per imporre una frontiera commerciale non solo sui diritti di dogana per le merci che passano dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord, ma minacciano addirittura la fine del trasporto dei prodotti alimentari.
Johnson si spinge persino ad accusare l’Unione europea di non aver condotto i negoziati in maniera equa e di aver tenuto sempre in considerazione l’eventualità di intervenire sul protocollo sull’Irlanda del nord, con la minaccia di attivare un vero e proprio blocco continentale che oggi minaccerebbe di distruggere l’integrità economica e territoriale del Regno Unito.
Un vero attentato all’Unione del Regno che, tra l’altro, metterebbe in grave pericolo la stabilità e la pace in Irlanda del Nord. Ancora incredulo per la malafede dimostrata dai negoziatori europei, Boris Johnson ha chiesto ai suoi deputati di votare il progetto di legge che elimina l’opzione sul protocollo irlandese, pur se questo dovesse modificare l’accordo di brexit adottato, secondo il primo ministro, nel periodo in cui nel parlamento di Londra prevaleva ancora una maggioranza capricciosa che aveva votato per privare i negoziatori britannici persino del diritto di ritirarsi.
Il premier spera di realizzare, grazie alla Brexit, la sua visione “della preferenza britannica” e di poter ottenere accordi potenzialmente più vantaggiosi con i differenti paesi, accordi che possano servire a sostituire quelli negoziati dalla stessa Unione Europea, soprattutto con gli Stati Uniti.
Per ritornare alle manovre della diplomazia britannica post Brexit, un accordo dovrebbe essere definito con il Giappone, e sarebbe il più importante tra quelli conclusi dal Regno Unito dopo la Brexit, migliore di quello entrato in vigore lo scorso anno tra l’Unione europea e lo stesso Giappone, soprattutto nei settori della mobilità delle persone, dell’esportazione di beni alimentari, con un forte ribasso dei diritti doganali sull’esportazione di bovini e suini britannici o sulle importazioni di pezzi di ricambio giapponesi nel settore automobilistico.
Questo accordo nippo-britannico rappresenta già una tappa importante del trattato commerciale trans – Pacifico (CPTPP) che unisce molti Paesi dell’Asia e del continente americano. Del resto la diplomazia del Regno Unito non è rimasta certamente inattiva ad aspettare l’evolversi dei negoziati. Ha infatti portato a conclusione accordi commerciali con la Corea del Sud, Svizzera, Israele, Marocco e Tunisia, accordi che sostituiranno, a partire dal prossimo 1 gennaio, quelli di cui aveva beneficiato il Paese quando era ancora membro effettivo dell’Unione europea.
Eugenio Preta