Finalmente Brexit: il significato storico
A differenza dei racconti televisivi infiniti, aggiornati annualmente per catturare audience, la storia del ritiro britannico dall’Unione europea si concluderà finalmente il prossimo 31 gennaio.
Dopo il referendum del giugno 2016 – tralasciando tutto il resto – dopo il discorso della Regina del 14 ottobre scorso e le elezioni del 12 dicembre, ci sono voluti più di tre anni e mezzo perché la volontà del popolo britannico venisse finalmente rispettata. Una voglia di “exit” dai vincoli dell’Unione europea che si era manifestata in più occasioni, ma che ha sempre ricevuto gli ostracismi e gli ostacoli dai poteri forti, dai media a servizio e dalle forze minoritarie evidentemente ostili al necessario recupero, da parte dei britannici, della loro sovranità.
Al di là del successo che si deve a Boris Johnson – che, al contrario della decotta Teresa May sembra aver attualizzato un aforisma di Marsilio Ficino, l’antico filosofo di Figline in val d’Arno, che diceva: “volere è potere… che alla volontà non si comanda se non obbedendole” – bisogna sottolineare il significato senza precedenti del processo storico che la prospettiva della Brexit ha aperto per tutti popoli e per coloro che non intendono essere privati della loro sovranità nazionale. Significato storico perché nonostante si sia provato -attraverso tentativi reiterati da parte delle cosiddette “elites” europee e britanniche – di ostacolarlo e vanificarlo il ritiro britannico è ormai cosa fatta. E se i dirigenti europei avevano lasciato presagire l’apocalisse, avevano promesso l’inferno economico e anticipato le 10 piaghe di… Londra, alla fine i profeti di sventure si sono sbagliati e la Gran Bretagna è riuscita ad imporre i suoi ritmi per questo processo di ritiro da una posizione di forza, lasciando ventilare ad un’Unione europea – che non sembra essersi ripresa dallo smacco subito – l’intenzione di rivolgersi prioritariamente verso il mercato americano.
Significato storico – dicevamo – anche perché, sotto molti aspetti, le inquietudini popolari britanniche si possono riscontrare anche in molti altri Paesi dell’Unione: un malessere non solo inglese, la frattura tra le metropoli mondializzate e gli sconfitti della mondializzazione, tra i «somewhere» – quelli che hanno tradizioni e origini comuni – e gli “anywhere” – quelli che non sono di nessuna parte – tra i nomadi e i radicati, tra i vincitori e i vinti di questa mondializzazione che si è voluta selvaggia, senza regole e senza rispetto. Storico infine perché il ritiro britannico prova che il federalismo europeo non è affatto una fatalità ed il suo preteso senso della Storia è stato semplicemente messo a nudo e battuto dalla presa di coscienza di un popolo fiero e spiccatamente geloso della sua indipendenza.
Per chi ancora difende la voce e le volontà dei popoli, banalizzate dai Trattati e sbeffeggiate dai poteri forti e dalle “elites” sempre in deficit di democrazia, il ritiro dei britannici da questa associazione di Stati in cui, nonostante tutto, avevano una ruolo predominante, è diventato un grande segnale di speranza e di incoraggiamento.
Eugenio Preta