Lo Stato offende la Sicilia. Se non ci vogliono perché restare?

Certo, urlare oggi che il governo italico martorizza la nostra terra, è gratuito, in mala fede e fuori tempo massimo. Pare che soltanto adesso ci accorgiamo che la Sicilia viene danneggiata dalle scelte di un governo centrale, una volta soltanto assente e ignaro, oggi pure prevaricatore e penalizzatore. Ma dove viviamo?

La Sicilia subisce, dall’infausta Unità d’Italia, la disattenzione, lo schiavismo e lo sfruttamento, attuati da un governo centrale che sempre ha approfittato della “terra impareggiabile” ed in questo non è stato certamente solo, ma è stato favorito dalla connivenza di paria e di schiavi di cui non siamo riusciti a liberarci, neanche con l’ottenimento dello Statuto di Autonomia che oggi tutti minacciano attraverso una necessaria – dicono loro – riforma: riforma che deve essere letta come, ed esclusivamente, Statuto per l’INDIPENDENZA dell’Arcipelago Siciliano.

Non ci sono più mezze misure: uno Stato che non ci rispetta, che ci avvilisce, non ci vuole. Altro che tasse e balzelli. Andiamocene per la nostra strada, senza aspettare che questa classe politicante corrotta decida per noi. E’ delegittimata a farlo perché non ci rappresenta, ha venduto la terra “dove cammina un popolo”, è scarsa, livellata verso il basso, come la società contemporanea, capace di esprimere solo mezze calzette che assurgono a demiurgi solo perché i “migliori” se ne fregano, non si interessano, lasciano fare.

In questo momento la crisi contemporanea dimostra che non ce lo possiamo più permettere. Non possiamo lasciare al Ministro Presidente dello Stato regionale di Sicilia o al governo centrale, la responsabilità dell’incapacità. Dobbiamo intervenire senza esitazioni pena il declino di un vivere civile, il nostro, in cui la paura dei movimenti di popolazioni, emigrati e clandestini, ormai non influisce più di tanto. Solo gocce di destabilizzazione nella bacinella di una crisi che è diventata globale e da cui non si vede via d’uscita, visti anche i protagonisti in campo.

Alla fine del 1993, Cechia e Slovacchia decisero di separarsi ed andare ognuno per proprio conto per fronteggiare, con maggiori probabilità di successo, le sfide del terzo millennio. E quella doppia indipendenza avvenne senza drammi né manifestazioni, in maniera normalissima, dall’oggi al domani, senza rivendicazioni altisonanti, nella sola convinzione di futuro che ciascuno riteneva di poter affrontare entro una sua specificità linguistica, culturale, economica ed industriale. E fu una scelta coraggiosa, specie da parte della meno sviluppata Slovacchia, e di dignità identitaria. Perché, nonostante possa fare conto su uno Statuto di autonomia (disatteso) la Sicilia non potrebbe fare altrettanto con l’Italia? Perché dovrebbe accettare gli schiaffi continentali (come fa da tempo) senza ribellarsi e senza dignità?

Ci accorgiamo che giorno dopo giorno, vuoi per ignoranza, vuoi per mala fede, noi siciliani siamo additati come scialacquatori di fondi statali, (ed è vero, ma dovremmo essere noi a porre argine al malaffare) evasori, quando ci va bene, e pure mafiosi. E lo fanno in Continente in modo oltraggioso come ha fatto una trasmissione rai (Report) parlando dello statuto e additandoci come fruitori gratuiti di fondi statali cui attingeremmo a piene mani senza peraltro contribuire a pagare le spese. Certo sparare delle grosse menzogne, in prima serata e davanti a milioni di ascoltatori, decuplica almeno il danno e necessita di una risposta seria, che serva a ricordare che la Sicilia non è semplicemente una Regione, ma è praticamente uno Stato a se stante, che sostituisce lo Stato praticamente dappertutto e a sottolineare che i fondi che lo Stato centrale spende in Sicilia sono diretti a quelle funzioni che ancora non sono state trasferite allo Stato Siciliano.

Questo è il sentire comune continentale: la Sicilia costa troppi soldi allo Stato (il che – è dimostrato – è una grande bugia). Ma a questo punto, se ci ritengono effettivamente un peso morto, perché non ci lasciano andare? Perché non ci lasciano finalmente applicare il nostro Statuto di autonomia (meglio indipendenza, diciamo noi)?

La verità è che la Sicilia costituisce per loro un pozzo da cui attingere petrolio, tasse, manifatture, eccellenze agricole, cultura e con cui pagare le spese dello Stato, anche ricorrendo ad espedienti che niente hanno a che vedere con la tanto decantata solidarietà nazionale che funziona però solo a senso unico. Ne è riprova la decisione di creare una cabina di regia per la gestione centralizzata dei fondi europei che, creati per investire nella crescita del Mezzogiorno, al Mezzogiorno non arriveranno mai, con la scusa della lentezza nell’utilizzo che, in Sicilia e nel meridione certo esiste, dovuta principalmente alla incapacità dello Stato nel programmare una serie di spese che, come tutti sanno, sono prodromiche all’intervento poi dell’Europa. E della scarsa considerazione per la Sicilia ne è riprova, nel nuovo piano di sviluppo, la decisione dell’incentivo al fotovoltaico, a questo punto palesemente diretto alle regioni che dispongono di meno luce solare, con una nuova e fragrante penalizzazione proprio della Sicilia.

Ma, lo diciamo da tempo, il problema della Sicilia è all’interno della Sicilia stessa, siamo noi stessi siciliani – senza accampare i soliti revisionismi, pur necessari, o le giustificazioni facili ricorrenti – i responsabili della considerazione in cui siamo tenuti in Continente, pur se il danno fatto alla Sicilia in anni di sfruttamento coloniale è stato devastante, non solo quello in ambito economico, ma specialmente quello in campo etico e culturale.

Non si potrà certo cambiare dall’oggi al domani una mentalità sedimentata nel corso di secoli di ingiustizie. Per tutta Italia, compresi campani o calabresi, siamo la causa di tutti i mali, e questo grazie a tutti quei siciliani senza dignità e senza orgoglio che arrivano persino a giustificare tale disprezzo.

A questo punto si può auspicare che – se solo i siciliani fossero degni di ottenerla – una rivoluzione totale delle mentalità e degli atteggiamenti possa essere l’unica via per raggiungere quell’Indipendenza che oggi spaventa ed atterrisce gli impavidi. Indipendenza per essere padroni finalmente del nostro stesso destino e di quello dei nostri figli.

Eugenio Preta