Voto britannico. La scommessa dell’indipendenza
Adesso tutti a cercare il colpevole, a gettare la croce su un vecchio comunista su cui avevano riposto le loro speranze, sul tradimento subito dai giovani (11 su 100 hanno votato laburista), sulle periferie che dovevano essere rosse, sull’inganno di piazze modello sardine probabilmente a gettone di presenza per reclamare un remain contro-senso, sul valore di poco più di 50 seggi di un partito, il Partito Nazionalista Scozzese, ieri percepito come secessionista ed oggi come salvatore del reame unito.
Ricordiamo quello che si diceva del popolo britannico, pronto a ravvedersi e a fare ammenda del suo grave errore di voto Brexit, pronto a sostenere un nuovo referendum per rinunciare per sempre al sogno di indipendenza nazionale. La scommessa dell’indipendenza fatta da Johnson ha trionfato, il vincitore prende tutto “The winner takes it all”, l’esatto opposto del proporzionale che porta alla divisione dei seggi tra una moltitudine di partiti incapaci di formare una maggioranza stabile e complessati negli obblighi di necessarie alleanze. Molti europei hanno sempre creduto che uscire dall’ UE sarebbe stato non solo complicato, ma difficile. Ma per l’Inghilterra è stato difficoltoso non tanto uscire dall’Unione, quanto far digerire ai cosiddetti europeisti il verdetto delle urne.
Per piu di tre anni i britannici hanno potuto constatare che un certo numero di eletti e di partiti sostenuti dai media europei legati ai poteri di Bruxelles e ad istituti di sondaggi partigiani, facevano di tutto per impedire ai britannici di dare corpo al risultato del referendum del giugno 2016, referendum in cui si erano pronunciati per la Brexit. In effetti, nonostante il diritto di voto sia un diritto costituzionale inalienabile, si ricorre al voto ormai sempre più raramente, tanto che pare sia diventata questa una pratica invisa a Bruxelles e quando il risultato non risponde a quello che si aspettavano, cercano in ogni modo di impedire di attuare la volontà espressa dai cittadini.
Questo è avvenuto ad esempio in Olanda, in Danimarca e in Francia nel 2005 quando più del 55% dei cittadini avevano votato “no” al progetto di costituzione europea. Ma due anni dopo, alla faccia di quanti si erano legittimamente e legalmente opposti a quella proposta, i legislatori europei imponevano sulle loro spalle il trattato di Lisbona – per non correre rischi ratificato per via parlamentare- riproduzione fedele, parola per parola al 99% del testo di costituzione che molti europei avevano rifiutato con il loro voto negativo.
Adesso, relativamente alla Brexit, e lo abbiamo notato nelle interviste e nello spazio che i media (che peraltro paghiamo a spese nostre) hanno dato a personaggi negativi e politicamente decotti come Monti ed altri, sollecitati dai Gruber e Formigli di turno, chiamati a pontificare contro il popolo britannico, nella persistente volontà di trovare in Corbyn il colpevole di una disfatta che è quella di un mondo che non esiste più, un mondo che, incapace di esprimersi per via parlamentare, prova a far politica sul modello delle sardine in piazze indecifrabili, forse a gettone forfettario di presenza.
Il voto per i conservatori, a cui ha fatto da sponda il ritiro annunciato di Nigel Farage e del suo partito Brexit, ha dimostrato che tutto si poteva dire, meno che i britannici si fossero pentiti del voto per l’exit e adesso si mordevano le mani, pentiti. Ormai i conservatori detengono 364 seggi: un trionfo dopo le recenti defezioni e dopo aver perduto la maggioranza alla camera dei comuni. Oggi hanno 38 seggi più della maggioranza assoluta: Il legittimo lasciapassare per dare corso alla Brexit, all’abbandono dell’Unione europea. Un fattore di portata ancora più storica delle elezioni, questo.
Molti ci vedono la vigilia della fine di questa costruzione tirannica che si chiama Unione Europea ed adesso temono l’esempio a specchio di molti dei paesi partner. Un eventuale processo di avvio verso l’uscita dall’Unione reso difficile però dalla censura mediatica che rappresenta l’arma letale di ogni rivendicazione sovranista.
Molti europei non riescono a capire ancora la relazione di causa ed effetto tra la distruzione dello Stato sociale, le delocalizzazioni massicce, il Mes o il fiscal compact e Bruxelles, dove certo si racconta il valore dell’Unione come contrappeso al potere economico di Usa e Cina, ma ogni settimana si procede allo smantellamento delle produzioni autoctone e alla svendita di eccellenze industriali agli americani o ai cinesi.
A questo punto come impedire ai cittadini di vedere una correlazione tra il fallimento di questa Europa e la recessione economica esistente; come impedire loro di fare la necessaria relazione tra l’appartenenza all’Unione e l’obbligo di dover applicare alla lettera gli articoli del trattato?
Eugenio Preta