Bruxelles: le bandiere e la grande paura
Parafrasando un sonetto di Alcmane “dormono le cime dei monti, le gole e i dirupi (εὕδουσι δʼ ὀρέων κορυφαί τε καὶ φάραγγες)” si sono afflosciate le bandiere degli Stati europei nel cortile del Justus Lupsius, nella piazzetta semicircolare di rue Wirtz, nello spiazzo coinvolgente del Berlaymont, dove avevano già perduto i loro colori originali e si erano abbigliate di azzurro trapunto di gialle stelle, ora più cupo, oggi che il vento si è acquietato e le fa pendere inermi e attorcigliate alle aste. Si é visibilmente fermato quel vento del sovranismo che aveva fatto garrire violentemente quelle bandiere, quasi a volerle scippare dai pali a cui sono rimaste attaccate.
E’ arrivata la bonaccia, una calma apparente però, perché la sovranità, declinata ormai con il suffisso “disprezzante” di sovranismo, quando fa rima con fascismo, comunismo, ma anche con ultraliberalismo, liberismo, consumismo e capitalismo, non può essere ricondotta sola a mero valore elettorale, ma è peculiarità e caratteristica della libertà di uno Stato che voglia continuare ad esercitare al meglio le competenze politiche, economiche e sociali che sono solo sue.
Dormono i monti – diceva Alcmane – e le burocrazie europee, in perenne deficit di democrazia, tirano finalmente un sospiro di sollievo dopo la paura che le ha squassate come il forte maestrale che ha fatto garrire i simboli degli Stati nazione che rimangono solo fantasmagoriche rappresentazioni di colori, presenze inutili, svuotate dai riferimenti storico-culturali che le avevano disegnate.
Ormai i colori nazionali degli Stati vengono sostenuti solo nel corso delle manifestazioni sportive, non per trovare il sano agonismo olimpico ma per obbedire alle ingiunzioni del mercato di media e tivù, ed anche qua quei simboli nazionali sono avviliti e banalizzati dalle obbligatorie scritte imposte dagli sponsor, generalmente in caratteri cinesi o geroglifici orientali, che ne alterano pure la simbologia ed i colori, a testimonianza che abbiamo tutto sacrificato al profitto, alla tracotanza e al consumismo di folle che ormai non si chiedono più il significato dell’essere, non si domandano il senso dell’esistere ma inseguono pedissequamente imbonitori e falsi maestri, ideati con sagace maestria da media, giornali e tivù.
Panem et circenses, Grande fratello, Xfactor e tutto ritorna nell’ordine prestabilito.
Oggi quel sovranismo che aveva spaventato le aule di Bruxelles ha abbassato le sue armi.
E lo ha fatto nelle difficoltà palesate dai partiti europei che si richiamavano proprio al valore degli Stati Nazione di riunirsi in un unico soggetto politico che finalmente servisse da contrappeso al potere perenne di socialisti e democristiani, assermentati loro al verbo federalista, il grande calderone che cancella storia, tradizioni, lingue, territori e popoli d’Europa con l’obiettivo di generare finalmente quell’uomo nuovo che l’umanità ricerca inutilmente dal primo risorgimento; e lo ha fatto nell’incompetenza di chi si era proposto come interprete ma anche nei ricatti e nei veti del potere e nelle incomprensioni della gente; e lo ha fatto perché si è perso dietro i giochi che voleva combattere e che invece lo hanno assoggettato, ammaliato e coinvolto.
Anche il nostro Paese aveva spaventato l’Europa con la formazione di un governo che era un mix di populismo e di sovranismo, una miscela inaccettabile per i poteri che scrivono la storia del continente, che però erano riusciti ad imporre dei contrappesi, nullità che se non servivano certamente al Paese, servivano a calmare questi poteri che vacillavano seriamente sotto la spinta della gente che finalmente apriva gli occhi, servivano a rassicurare la burocrazia e le lobbies europee vigilando e ostacolando leggi e provvedimenti che potevano danneggiare l’ordinato svolgersi della programmata cancellazione degli Stati.
Un governo che nasceva già zoppo, con autonomie fasulle e limitate, ma sempre un governo che un oscuro personaggio accettava di guidare svolgendo solo un ruolo che doveva essere di facciata ma che, da buon bizantino era riuscito a coniugare con gli interessi camuffati con le 5 stelle (dopo l’endorsement di Trump, diventato perciò finalmente simpatico ai media continentali, tutto si poteva fare e pure il figliolo era riuscito ad imboscare nel pranzo ufficiale del G7, a riprova del sempre italico giochetto del “tengo famiglia”).
Poi l’ingordigia, la rincorsa alle poltrone, il collante del potere, il successo, forse anche ricatti insostenibili hanno fatto la loro parte ed inspiegabilmente l’interprete in salsa leghista del sovranismo italico è riuscito nel più abile harakiri politico mai registrato, aprendo una crisi che ha sbalordito persino chi tramava dietro gli angoli e mai si sarebbe aspettato questa succulenta pietanza servita su un piatto d’argento.
Il resto è cronaca: colloqui, consultazioni, incitamenti alle piazze, richiami alla Costituzione, personaggi politicamente falliti che approfittano del momento e ritornano prepotentemente in grande spolvero.
Dormono le cime dei monti, le gole e i dirupi, penzolano inermi le bandiere d’Europa dopo “il vento forte che le ha cercate”, ma è questo un Paese normale?
Eugenio Preta