Il pelo nell’uovo
Sempre alla ricerca di pretesti veri o presunti, la nostra illuminata classe dirigente riesce a mettere in discussione anche tesi consolidate nel tempo. Succede oggi con la denunzia di un preteso ”razzialismo” occidentale rispetto agli antichi monumenti pervenutici come retaggio di civiltà nel corso dei secoli.
A questo punto il “pelo” (del razzialismo) – quella parte dell’antropologia che studia i fenomeni razziali, che non coincide necessariamente col razzismo inteso come comportamento di disprezzo, esclusione, espulsione – viene ritrovato nell’ “uovo”, in questo caso le statue del Partenone, bianchissime e per questo in sospettoso “political correct”.
Da fonti letterarie e scientifiche sappiamo che i templi greci e le loro statue in origine sono stati policromi. Quello che ancora ignoravamo è che il “biancore” con il quale li abbiamo ammirati nel corso dei secoli è dipeso essenzialmente dalla cromofobia, un virus che oggi ha dato origine al nostro “razzialismo” con la pretesa superiorità della razza bianca.
Le Kores del Partenone, ci sono pervenute infatti come giovinette candide, ma in origine avevano riccioli rossi, colorati, come voleva l’arte ottomana. Un intero capitolo della nostra storia dell’arte, riposerebbe così su una vera e propria mistificazione.
L’architettura dei templi greci obbedisce a regole rigorose legate alla ricerca del numero aureo: ne sono testimonianza le proporzioni eccezionali delle statue del Partenone, con gli effetti ottici delle sue colonne ricurve. In origine colori minerali venivano applicati sui marmi con la cera e l’aceto. Le cere così colorate, applicate a caldo col ferro, impregnavano la materia e la coloravano perché si riteneva che i colori servissero a comunicare con gli dei.
Il tempo poi, con il trascorrere della Storia e il passare delle varie intemperie, ha cancellato i colori. Di tante statue greche siamo riusciti a conservare soltanto le copie romane, stranamente tutte di freddo gesso bianco. Da qui la constatazione di una Grecia assolutamente bianca mentre in realtà sarebbe meticcia, al pari di tutti gli altri Paesi, come testimonierebbero l’arte ottomana e quella cristiana del medioevo con i suoi rosoni di vetro colorato.
Solo nel corso del XVII secolo, sotto le spinte del classicismo, si sarebbe sviluppato questo criterio di nudità e purezza che molti fanno risalire ad Arthur Gobineau, il teorico del razzismo e alla susseguente ideologia nazista che avrebbe imposto la supremazia dell’uomo bianco. Il biancore quindi come segno di razzismo e non come tributo al tempo inesorabile che scappa via.
Del resto, sarebbe impossibile pensare che i greci avessero saputo scolpire ammirevolmente senza saper dipingere altrettanto meravigliosamente, ma certamente l’ammirare i templi senza colori, non è stato per uno sbiancamento voluto dall’ideologia, ma soltanto perché, ahimè, i colori sono stati cancellati dal tempo. Il colore consiste in un’alchimia, è la miscela dei pigmenti, dei collanti, delle patine, in un gioco di luci e di ombre che inesorabilmente il tempo deteriora fino a cancellare. Il blue di Delfi e il rosso di Soutine rimangono pertanto ancora un mistero.
I dipinti antichi non hanno ancora smesso di raccontarci i loro segreti, ne sono prova le brutture delle nostre ricostruzioni contemporanee. Le chiese romane erano dipinte ed esistono ancora statue venerate di santi col viso scuro, come la Madonna dei Poveri di Seminara in Calabria, ad esempio, o la statua di San Cono venerata a Naso in provincia di Messina. I colori delle vetrate poi rimangono estremamente vivi, ma non per questo la nostra missione deve rimanere quella di celebrare il meticciato.
Per identificare il ruolo sociale che svolgono i colori, basterebbe rileggersi Pastoureau, il teorico dei colori, mentre per le metamorfosi del tempo che hanno costruito il nostro museo immaginario, potremmo ritornare a rileggere le “Tentazioni dell’occidente” dell’allora ministro alla cultura del governo De Gaulle, André Malraux.
Con la denuncia che oggi i soloni moderni fanno della colonizzazione, il meticciato, da teoria alla moda, è divenuto un’ideologia mortifera che sconvolge l’Europa. Si sfiora persino il ridicolo quando riusciamo anche a vietare una rappresentazione classica come le Supplici di Eschilo, trincerandoci dietro il pretesto di una pretesa “afrofobia”, colonialista e razzista.
In questo modo l’Europa sta soccombendo alle ideologie della de-costruzione, un fenomeno che ha la sua radice negli anni 80 ma che ancor oggi continua nei suoi deliri fobici. C’è da chiedersi: continuando così, dove andremo a finire?
Eugenio Preta