Nell’attesa del grande crack finanziario mondiale
Il Crack finanziario, di cui tutti parlano sommessamente per paura di scatenare “le folgori divine”, aleggia in tutta la sua concretezza sui problemi attuali della moneta turca; sulle poco plausibili rassicurazioni ufficiali sul debito greco- al minimo segnale di innalzamento dei tassi di interesse – e sull’aumento dello spread italiano in relazione a quello tedesco.
Indicativa, poi, l’attitudine dimostrata dalle autorità monetarie cinesi che hanno obbligato il gruppo HNA a liberarsi di 50 miliardi di dollari di giacenze di prodotti attivi all’estero negli ultimi anni, con l’acquisto di Hilton e Radisson, così come hanno fatto con il gruppo FOSUN, proprietario del Club Med, con il fondo WANDA, gestore di parchi e di proprietà e con il gruppo ANHANG, potente nel settore delle assicurazioni.
Il super-indebitamento del sistema finanziario mondiale, il rinvio artificioso dei fallimenti che si vogliono mascherare con un ricorso massiccio al prestito, la volontà di praticare una politica monetaria senza un sistema finanziario di sostegno, sono i segnali inequivocabili della “vigilia della distruzione” – come cantava Barry Mc Guire – e sono segnali che lasciano facilmente immaginare cosa possa accadere in futuro.
Stiamo vivendo attualmente gli ultimi momenti del sistema in uso del dollaro, imposto subdolamente, se consideriamo il vecchio sistema conservatore e rassicurante dell’oro, utilizzato fino al 1914 e disgraziatamente messo da parte, per finanziare le spese della prima guerra mondiale, allora in corso. Dal ’14 al ’44 però l’oro ha sicuramente mantenuto il suo ruolo salvifico anche perché, ad esempio, la Fed (riserva federale statunitense), era obbligata a detenere nelle sue casse una quantità minima d’oro pari al 40% della moneta allora in circolazione.
Nel 1945, a Bretton Woods, gli Usa hanno imposto il dollaro per rimpiazzare parzialmente l’oro, partendo dall’assioma che il mondo intero chiedeva il dollaro e decidendo, di conseguenza di dover abbassare al 25% invece del 40% legale, la copertura materiale di oro detenuta a Fort Knox. Dal ’65 al ’68 poi gli Usa hanno deciso di liberarsi dell’obbligo del 25% e qualche anno dopo, in piena “bagarre” vietnamita, esattamente nel 1971, Nixon decise unilateralmente che il dollaro non sarebbe stato più convertible in oro e determinò automaticamente il primato del dollaro.
Con il dollaro moneta “principe” e senza alcun obbligo di un valore universale e materiale di riferimento come era l’oro, si è istituito un sistema economico e finanziario in cui i capitali circolavano liberamente ma erano assoggettati ad un tasso di cambio variabile ogni giorno. Fintantoché crac e catastrofe finanziaria, prossima ventura, rimarranno lontane e solo nelle previsioni più allarmistiche degli economisti, nessuno si chiederà di ristabilire immediatamente l’oro come valore di riferimento, anche perché questo spezzerebbe nettamente ogni ipotesi di crescita e sviluppo e determinerebbe una terribile recessione economica.
Ma, dopo il crac e la rovina degli agenti economici, inevitabilmente si dovrà ricostruire tutto da zero. Sarà quindi, molto probabile che vivremo in un mondo senza libero scambio mondialista, con zone autarchiche protezioniste e con un commercio internazionale ridotto semplicemente allo scambio di prodotti indispensabili all’importazione perché non presenti o impossibili da riprodurre nelle zone autarchiche, verosimilmente USA, Cina, Russia, Europa e Giappone.
Arriverà allora il momento delle grandi monete internazionali corrispondenti ad ogni zona autarchica-euro, dollaro, yuan e yen-convertibili in oro. A quel punto, i fautori dell’oro, quelli che oggi sono gli sconfitti dal sistema dollaro, non potendo più approfittare delle bolle speculative, borsistiche o immobiliari, prenderanno la loro rivincita e decideranno l’aumento verticale del prezzo dell’oro, come accadde in Germania nel ’23.
Una magra e triste consolazione in mezzo alle rovine di un sistema economico ormai fallito, alla miseria sociale derivante, a tutte le disgrazie umani conseguenti, con la prospettiva di drammatiche crisi economiche, sociali e geopolitiche.
Eugenio Preta