Dopo il referendum
Non vogliamo dare lezioni a nessuno, ma domenica, con la nostra decisione di andare in spiaggia o restare a casa, abbiamo spiegato ai poteri forti che gestiscono questo paese – in questo caso sopratutto alle lobbies petrolifere che stanno riempiendo le pagine… delle Preture – che li abilitiamo a continuare i loro affari, che tutto ormai ci passa addosso, che viviamo in periodo di relativismo assoluto, ma sopratutto che siamo incapaci, come popolo, della benché minima reazione.
Non abbiamo votato No, legittimando un risultato che tutto sommato era nelle previsioni, mai ci siamo voluti astenere, abbiamo rinunciato a fare sentire la nostra voce.
Non solo abbiamo lasciato che qualcun altro scegliesse al posto nostro, nonostante il 31% di valorosi, più o meno politicizzati, ma abbiamo dimostrato che abbiamo rinunciato ad un diritto che in tanti Paesi oggi è ancora osteggiato, combattuto, rinnegato e che costringe molta gente anche a fuggire con perigliosi viaggi sui barconi.
Era un sondaggio di opinione e naturalmente avrebbe espresso voti favorevoli, voti contrari e una sicura minoranza di indecisi e, peggio, di IGNAVI. Siamo pero’ convinti che anche una scheda bianca o nulla, che non avrebbe invalidato la trappola del quorum, poteva stare a significare contrarietà e perplessità senza far venire meno il valore tangibile della partecipazione della gente.
Il referendum popolare, per anni utilizzato sino alla sua banalizzazione da truppe di “intelligenze radicali” al servizio, in definitiva, del potere – ricordo i referendum sulla caccia, sull’uso di fitofarmaci, sulla soppressione dell’ordine dei giornalisti, sulla carriere dei magistrati, sulla procreazione assistita, sul fine-vita, sulle servitù coattive di elettrodotto, a tanti altri con il punto peculiare ottenuto dall’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti a cui la casta rispondeva con una legge che, in pratica cancellava il responso popolare che, quella volta, non aveva certo rischiato l’astensione – deve ritornare ad essere la forma di democrazia partecipata più diretta, una vera opportunità per l’esercizio di quella cittadinanza attiva con cui tanti oggi ci riempiamo la bocca.
Un cittadino chiamato alle urne per un referendum – non soltanto abrogativo come quello di domenica ma auspicabilmente propositivo, presentato in maniera meno contorta e più chiara – ha il diritto/dovere di andare a votare, per manifestare il suo accordo o respingere una proposta che non reputa opportuna.
L’astensione, pur prevista dall’istituto referendario, offre al risultato una chiave di lettura equivoca.
Ora se l’astensione può essere contemplata come il terzo non dato, è decisamente grave istigare all’astensione come risposta politica sopratutto se a farlo sono i rappresentanti eletti dello Stato che cosi’ svestono i panni degli arbitri e indossano quello dei tifosi, sbagliando gara e giustamente sanciti in questo loro atteggiamento dalla legge che prevede una pena da sei mesi a tre anni.
Oggi più che mai svilita da un Parlamento illegittimo di nominati, la vera applicazione della democrazia dovrebbe passare attraverso le scelte del popolo, ritenuto ormai adulto e depositario di diritti e doveri.
Come penso’ di fare il generale De Gaulle che decise la nomina della più alta carica dello Stato attraverso il voto di tutti i cittadini, ritenuti capaci di decidere e scegliere. Come fa la Svizzera che ci dà lezioni di democrazia quando sottopone all’accordo popolare persino il passaggio di una strada cantonale, o la circolazione in autostrada o il raddoppio di una linea ferrata. Consultazioni popolari che non soggiacciono alle regole del quorum, e a cui forse alla fine partecipano pure in pochi, ma che tuttavia ottengono il risultato di lasciar decidere il cittadino che si dimostra perciò effettivamente interessato.
A voler ben guardare, questo referendum, costato 300 milioni di euro altrimenti ben più necessari, chiedeva la proroga delle concessioni sino all’esaurimento della vena ma veniva utilizzato per un braccio di ferro interno al PD.
Resta che ne erano interessati pero’ tutti gli italiani, anche non iscritti al partito di governo e che per vanificare quel braccio di ferro avrebbero dovuto votare da uomini liberi senza permettere al governatore della Puglia di fare l’eroe, né a Renzi di comunicare alla Nazione di aver salvato il posto dei lavoratori delle trivelle, a suo dire i veri proprietari dei giacimenti petroliferi, non la Total, l’Eni o la Bp,… o di esultare di fronte all’alto tasso di astensionismo, visto che in Italia gli aventi diritto sono il 70% della popolazione e di questi, facendo una media statistica, il 31,2% di coloro che sono andati a votare ieri, rappresenta il 45% di quelli che andranno a votare sia a ottobre, sia alle prossime elezioni.
Alla fine rimane una amara constatazione: quella di aver spuntato la nostra arma referendaria, banalizzandola andando al mare supportati dalle lezioni di fini politologi e sublimi costituzionalisti che sono intervenuti distribuendo patenti di sapienza che alla fine hanno diviso i cittadini in arrabbiati contestatori di Renzi ed in illusi tifosi di Emiliano senza tener conto che in effetti la materia del contendere non poteva restare in campo PD ma doveva coinvolgere l’applicazione di un diritto civile, quello, per una volta, di decidere con un tratto di matita.
Eugenio Preta