L’interpretazione araba dell’occidente
L’imbroglio della morte del giovane ricercatore italiano in Egitto deve essere inquadrato nell’atmosfera di sospetto e di repressione che vive oggi quel paese, uscito con le ossa rotte da quella cosiddetta “primavera araba”, l’imbroglio foraggiato da Unione europea e Stati Uniti che ha compiuto una serie di miracoli, primo fra tutti la disgregazione di stati sovrani, forse pure in sospetto di democrazia, ma economicamente e civilmente stabilizzati.
Senza, per questo, sottoscrivere le dittature, vorremmo ricordare che satrapi orientali avevano consegnato ad un’era di stabilità un panorama geopolitico particolarmente sensibile per le notevoli differenze religiose, per l’inarrestabile e continuo conflitto israelo-palestinese, per gli interessi dei nuovi colonizzatori che non perdevano l’occasione di tramare qualche congiura pur di accaparrarsi quelle materie prime, motore delle attività della civiltà industriale dell’occidente.
Un’area del mare di mezzo che avrebbe potuto, vuoi per vicinanza geografica, vuoi per influenze e predominanze culturali e politiche, proiettare la Sicilia in una funzione nodale nello scacchiere del bacino mediterraneo, oggi tanto importante negli equilibri tra occidente e oriente, ponendola come vero ponte tra Sud Europa e Nord Africa, tra attività industriali necessarie e materie prime indispensabili. Invece, questa Sicilia, resta alle spalle di tutto e perennemente in attesa del satrapo di turno. Ma questo sarebbe uscire dal tema , sospinti dalle ragioni del cuore.
In quest’area di mezzo , in un clima di sommovimenti popolari e di pause libertarie, continuano a muoversi le appendici dell’informazione e del mondo accademico occidentale che non è disposto a lasciare quelle regioni, teatro e testimonianza di passati ancora tutti da studiare e rendi-contare. E’ la ragione per la quale, tanti giovani (ed anziani) ricercatori si muovono nella regione, per soddisfare le domande dei loro studi accademici o per reperire fonti di informazione autonome dal potere, a volte anche al potere stesso ostili, e quindi fatalmente percepiti in odor di sovversione e spesso spiati e perseguiti.
Il ricercatore italiano misteriosamente ritrovato cadavere sulla superstrada per Alessandria, nei pressi di una caserma dell’intelligence egiziana apre scenari da thriller e da giallo intriso di motivi politici. L’Egitto, dopo gli oltre 40 anni del regime di Osni Mubarak, ha vissuto da par suo la primavera araba, consegnato un paese in cui l’esercito era il custode della laicità, alla deriva islamista di Morsi e dei fratelli musulmani…. e il ritorno delluomo forte sul modello Mubarak il generale al Sisi.
Per spiegarci la realtà politica di questa parte del bacino mediterraneo, come i mille mediterranei di Braudel, che hanno caratteristiche sociali, culturali e religiose tanto differenti, dobbiamo innanzitutto inquadrare il clima di odio e di sospetto che vige tra le componenti della società locale, l’opera latente ma sempre in atto dei fratelli musulmani e di Isis quindi opportunamente fare astrazione dalla nostra mentalità occidentale che qui in Egitto non sembra aver alcuna corrispondenza e necessiti addirittura di rivedere le sue stesse logiche.
La pretesa di trasformare questi Paesi, tanto diversi dall’occidente e dai suoi canoni, attraverso gli strumenti della democrazia occidentale, peraltro logori anche da noi, è operazione vana, assolutamente antistorico e patetico.
L’Egitto si trova in mezzo ad una zona di guerra totale, minacciato dall’integralismo, deve giocoforza ristabilire una parvenza di stabilità, non fosse altro che per combattere efficacemente l’infilttrazione dell’Isis nelle pieghe della sua società ma anche per rassicurare l’esercizio di quel turismo che è parte importante del rivenuto netto del Pil. Per mantenere questo clima e tutelare la sicurezza interna deve fare affidamento ad un servizio di intelligence che noi in occidente definiremmo eccessivo, certamente spietato ma adeguato qui, nel sistema paese a cui si riferisce.
L’uomo forte del regime, il generale Al Sisi, tralasciando buonismo, diritti umani e fantapolitica, deve affidarsi ad un sistema di controspionaggio che appunto deve fare “intelligence” e non opere di carità, deve cioè indagare ed utilizzare tutti i mezzi consentiti ma anche illeciti e dunque si affida al Mukharabat, l’agenzia centralizzata di tre appendici dei servizi segreti dell’esercito, mutuati dal sistema israeliano e addestrati nelle scuole del Mossad.
Al Sisi deve guardarsi sempre le spalle dai Fratelli Musulmani, avamposto dell’Isis, già messi fuorilegge percio’ perseguibili penalmente da una magistratura forse compiacente,ma sicuramente esasperata dalle aspettative del regime ed attenta alle infiltrazioni integraliste.
Nel clima odierno il regime, perché in questa regione dobbiamo parlare di regime se vogliamo avere una parvenza di legalità, ha a sua disposizione una sola alternativa : modulare l’applicazione integrale dei diritti umani e sospendere l’esercizio normale delle libertà individuali per non finire come le consorelle arabe nella primavera, Libia, Siria e Palestina. A questo punto apriti cielo da parte delle confraternite buoniste e terzomondiste dell’occidente progressista che rifiutano di fare astrazione dai principi e non vogliono penetrare la realtà effettiva…
In questo clima sociale si inserisce la morte di Regeni, vicenda da thriller politico sulla linea già esplorata da ben pastor, che apre scenari e congetture più disparate. Uomo dei servizi? studente appassionato? agente segreto italiano? A noi sembrano ipotesi appunto, poliziesche e fantastiche, storie di cui i media hanno bisogno per dare colore alle loro pagine, piuttosto che la sfortuna del Regeni di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, il tutto corroborato dall’alone di mistero che un corrispondente di un quotidiano schierato dalla parte dell’opposizione (senza peraltro aver dimostrato di capire che il confine tra regime ed opposizione appare labile e modulabile secondo gli avvenimenti, proprio in questo emisfero) fatalmente si porta dietro.
Consideriamo oltretutto che il nostro Paese appare molto poco intransigente nel pretendere il rispetto dei suoi cittadini che lavorano e operano fuori dai confini della patria, anzi si dimostra troppo spesso disponibile pure ad esose transazioni per poi riscattare il rilascio di cooperanti e “vispe terese” vari.
Eppure oggi dobbiamo pretendere che il peso economico del nostro Paese, specialmente nello scacchiere medio-orientale in generale e egiziano in modo particolare, dove la bilancia dell’interscambio con l’Egitto vale oltre 5 miliardi di euro serva almeno a fare chiarezza, dare giustizia ad una famiglia italiana e ridare dignità al nostro Paese se è vero come è vero che nello stesso momento in cui si compiva l’assassinio di Regeni, perché di questo siamo convinti si tratti da parte dei servizi del Muhkarabat il Ministro Guidi visitava il paese dei faraoni insieme a ben 6O rappresentanti di imprese italiane in visita di affari proprio nella terra dei faraoni.
In effetti il problema grosso resta questa primavera araba che consisterebbe nel consegnare la sponda Sud del Mediterraneo all’Islam politico e integralista, malgrado la volontà popolare. Eppure ci sono tante differenze tra l’Egitto e le monarchie assolute del golfo, patrocinate sempre dagli occidentali… In Arabia Saudita non c’è un Parlamento, non si conosce sistema di voto, nemmeno per un condominio. Nel Qatar la stessa cosa. Possono essere protagonisti di una “primavera democratica” questi Paesi che sono monarchie assolute?
Resta il fatto che osserviamo che oggi le consorelle della primavera araba rimasta forse sui calendari attraversano un periodo di caos e di guerre interne e rivoluzione e che stanno vivendo quella capio ut dissolvi che mette in discussione gli assunti che credevamo ormai consolidati anche in Egitto relativi alle tutela delle libertà individuami e la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
eugenio preta