4 Luglio 1299. La battaglia navale di Capo d’Orlando
Ciò che mi accingerò a raccontare è una delle battaglie più epiche della storia medievale e non solo, rientrante all’interno della novantennale Guerra del Vespro.
I contendenti sono Giacomo II, re di Aragona, già re di Sicilia e deposto dal Parlamento Siciliano, a capo della coalizione antisiciliana di nazioni europee tra cui il papato; dalla parte opposta Federico III, re di Sicilia, eletto nel 1296 dal Parlamento proprio in sostituzione del fratello Giacomo accusato di tradimento.
Verso la fine di giugno del 1299 partì la spedizione contro la Sicilia; Federico III convocò il Parlamento a Messina dove si invitava tutti i siciliani a difendere la propria patria.
La flotta siciliana partì intorno al 2 luglio dalla città dello Stretto e composta da quaranta galee alla quale dovevano congiungersi, dalla Sicilia occidentale, le altre otto guidate dal Giustiziere del regno Matteo Termini. L’obiettivo era impedire lo sbarco delle navi aragonesi.
Durante la navigazione incrociarono una nave vedetta, precedentemente inviata in esplorazione, che portò ai siciliani la brutta notizia di cinquantasei galee nemiche all’altezza delle Eolie.
Si ordinò di velocizzare la navigazione e quando, giorno 3 luglio, le navi superarono il promontorio di Capo d’Orlando, la flotta aragonese era già ancorata lungo la spiaggia con le prue rivolte verso il mare.
Alla vista del nemico diverse navi siciliane si lanciarono disordinatamente e con fatica si riuscì a farle rientrare nei ranghi.
All’alba del 4 luglio, sotto la pressione dell’equipaggio, che accusava il sovrano di non aver voluto attaccare per difendere il fratello, Federico III ordinò l’assalto senza nemmeno attendere l’arrivo delle galee guidate dal Termini e che avevano già superato Cefalù.
Per circa sei ore i siciliani tennero testa al nemico numericamente superiore, ma dopo mezzogiorno si incominciava a delineare la sconfitta.
La giornata era afosa e ad un tratto Federico III sviene sulla nave Ammiraglia. Tra la confusione del momento il conte di Garsiliato, che comandava la poppa dell’Ammiraglia, propose di arrendersi per salvare il re, ma a lui si oppose il conte di Squillace, Ugo de Empùries, che invece comandava la prua della stessa nave, suggerendo la fuga. Il suo consiglio venne accettato e la galea reale con immensa difficoltà uscì dalla formazione e si diresse verso Messina.
Alla vista della nave ammiraglia in fuga, il conte Blasco d’Alagona ordinò agli uomini della sua galea di ammainare le insegne e di seguire a protezione il re; altre undici navi seguirono il suo esempio e le navi che non riuscirono a sganciarsi continuarono a combattere per proteggere la ritirata. Accaddero scene di vera disperazione, come quelle dell’alfiere Ferrando Perez che, all’ordine di ammainare le insegne, per la vergogna della fuga si andò a spaccare la testa contro una parete della nave morendo il giorno dopo per le ferite riportate.
Quando re Federico riprese i sensi volle subito tornare indietro, ma i suoi più stretti collaboratori lo fecero desistere ricordandogli che egli rappresentava l’unità dello Stato e che fin quando fosse vivo nulla era perduto.
A Messina, intanto, erano già giunte notizie del disastro e molte famiglie erano preoccupate per la sorte dei propri congiunti; nonostante ciò non vi furono recriminazioni alcune e appena si seppe che la galea reale stava entrando nel porto, tutti accorsero ad accogliere calorosamente il proprio sovrano.
Le vittime siciliane della battaglia furono circa sei mila, ma a Giacomo II non andò meglio; egli perse buona parte della flotta e del suo corpo di spedizione, per cui preferì ritornarsene in Aragona dove avrebbe dovuto dare conto del suo operato.
La battaglia è talmente importante che essa, ad esempio, nel paese di Capizzi venne regolarmente ricordata, nella messa del primo dell’anno, per quattro secoli dopo la sua avvenuta, tra le date più importanti dell’umanità.
La cittadina di Capo d’Orlando, e la Regione Siciliana, dopo la riscoperta di questo avvenimento di importanza “nazionale” non possono e non devono fare in modo che esso ricada nuovamente nell’oblio. Non è corretto nei confronti dei nostri antenati che per la libertà misero in gioco la cosa più importante che avessero, vale a dire la vita; non lo è nemmeno nei confronti del popolo siciliano che senza la conoscenza del proprio passato non potrà mai fare scelte oculate per il proprio futuro.