Sbarchi in Sicilia: non possiamo permettere la sostituzione genetica di noi siciliani
Ci stanno invadendo. Chi dice cose diverse ci prende in giro. Come fanno Piero Grasso e Leoluca Orlando. Gli immigrati che non hanno diritto d’asilo vanno rimpatriati. Questa è legittima difesa dettata dal diritto di natura. Dobbiamo far capire che l’Italia è un Paese determinato. Altrimenti ci annienteranno
I fatti hanno la testa dura. Contro i fatti le ideologie si scontrano e, sistematicamente, perdono sempre, crollano come un castello di carta. Qualche tempo fa, sui muri della mia città vidi un manifesto con su scritto, a caratteri cubitali: “Mai più clandestini”. Il senso di quel messaggio, tutt’altro che isolato, era che il tradizionale diritto degli Stati di controllare chi attraversa le frontiere doveva essere superato. Anche la Rivoluzione Francese, che aveva distinto tra i “diritti dell’uomo”, estesi a qualunque essere umano in quanto tale, e quelli “del cittadino”, riservati solo a chi fa parte di quel club esclusivo chiamato “Stato”, doveva essere superata. Non c’è più alcuna cittadinanza specifica, siamo tutti “cittadini del mondo” e, in quanto tali, abbiamo diritto di andare dove ci pare (e fare ciò che ci pare?).
L’idea del “clandestino”, o “irregolare”, deve essere eradicata dalla coscienza collettiva. Cominciano gli artisti. Ricordate Manu Chao? “Me llaman clandestino por no portar papel”. Gli artisti, specie i finti poveri, i finti bohemiens perfettamente integrati e con conti in banca a sei zeri, convincono i giovani, creano una coscienza collettiva, rispetto alla quale prima o poi la legislazione si deve adeguare.
Poi arriva la “neolingua”. Spariscono gli “immigrati”; arrivano i “migranti”. “Immigrato” significa che “migra In”, cioè entra dentro qualcosa che prima non gli apparteneva. Prima esistevano, regolari o no. Come esistevano, perché no, i nostri “e-migrati”, i quali “migravano Ex” cioè venivano da qualcosa che prima gli apparteneva. La parola “emigrato”, “emigrante”, non era offensiva; esistevano uffici per l’emigrazione. Mentre “immigrato” a quanto pare lo è, crea esclusione, e quindi razzismo. Così arriva il generico “migrante”, cioè “colui che migra”, un participio presente (non un gerundio, caro Salvini, ma sappiamo che in fatto di grammatica sarebbe in buona compagnia tra i politici). Da dove migra? Verso dove migra? Non importa, fatti suoi a un certo punto. Per quel che ci riguarda noi abbiamo solo il dovere dell’accoglienza e non dobbiamo chiederci altro.
Perché abbiamo questo dovere? E fino a dove si spinge questo dovere di solidarietà? No, perché la
polizia è come l’amico in difficoltà che ti chiede un prestito, o addirittura un regalo. Ci possono essere molte buone ragioni per aprire il cuore e il portafoglio. Ma esiste un limite a questo o no? Esiste un limite anche per San Martino, o se avesse incontrato un secondo viandante avrebbe dato via pure il secondo pezzo di mantello? O gliene avrebbe dato un quarto? Esiste un limite alla sperequazione tra il reddito di cittadinanza per i “migranti” da un lato e l’oppressiva fiscalità che distrugge ogni cosa dall’altro, peraltro abbandonando i cittadini più disagiati al loro destino? Esiste una logica per la quale abbandonata la distinzione tra “uomo” e “cittadino” (siamo tutti cittadini), poi la “cittadinanza” viene riesumata solo per affibbiare ai cittadini doveri in più che gli “uomini non cittadini” non hanno? Si possono sequestrare residence e caserme. Si possono sequestrare anche villini privati non molto usati? E forse anche il salotto di casa? Non è terrorismo il mio, vorrei realmente sapere qual è il limite fisico della solidarietà prima di aprire cuore e portafoglio. Perché se questo limite non esiste, la paura comincia a diventare legittima…
Torniamo all’esempio dell’amico in difficoltà. Un amico mi chiede 100 euro. Non ce la fa, ne ha proprio bisogno. Io stringo i denti e glieli do. L’indomani vengono due altri “amici” e mi chiedono la stessa cosa. E poi 10, 100, 1000. Cosa faccio? Mi dicono che se non do loro questi soldi i loro figli moriranno di fame. Ma io so che, se darò loro anche tutto ciò che ho, non potrò salvarli tutti e a un certo punto, di fame, moriranno i figli miei.
Per favore, non mettiamola sul piano del razzismo o dell’egoismo. Qui il problema è matematico. Le risorse sono in numero limitato. L’umanità che versa in stato di bisogno è potenzialmente illimitata. Che facciamo?
Si dice, a buon diritto, che la tragedia della migrazione nasce dallo sfruttamento dei Paesi ricchi sui Paesi poveri. E questo è vero, ma io non c’entro niente vi assicuro. Io non prendo su di me le colpe delle multinazionali. In realtà quest’analisi è superficiale. Il problema ha radici complesse. Non ultimo le politiche dissennate del Fondo monetario internazionale che chiede a questi Paesi (come fa con noi e con la Grecia, beninteso), allucinanti politiche di avanzo primario che, in Paesi poverissimi e già sfruttati di loro, oltre che sottoposti a una pressione demografica insostenibile, creano asfissia economica. Di fatto c’è una gestione globale della povertà, che è iniziata alla fine degli anni ’70, con la quale si sono abbandonati gli aiuti, e si sono concessi solo “prestiti a usura”, nel nome del neoliberismo che fu ideato in quegli anni, e che tanti lutti e caos sta portando all’umanità intera.
Le guerre specifiche o la situazione caotica della Libia, o il racket che gira intorno, aggravano soltanto la situazione, ma la radice da combattere è quella: gli squilibri nella divisione internazionale del reddito, e le politiche rapaci del capitalismo finanziario occidentale. Sì, va bene, ma noi, in particolare noi siciliani che siamo in prima linea, che c’entriamo con tutto ciò? I popoli occidentali, non il capitalismo finanziario che sta sopra la loro testa, non hanno alcuna responsabilità e non devono pagare per colpe che non sono loro.
Purtroppo la cultura cristiana, o meglio una sua lettura superficiale (non ce ne voglia il Santo Padre), non aiuta molto in queste circostanze. Né ciò che resta delle ideologie otto/novecentesche. Sia il liberalismo, sia il socialismo, sono tutte ideologie messianiche che hanno proiettato l’universalismo religioso in un universalismo laico. L’Europa contemporanea non ha saputo elaborare una idea di unità nella molteplicità, di tutela delle differenze e degli interessi particolari nel rispetto di vincoli generali di solidarietà. Si è sbilanciata tutta sul piano dell’universalismo, e qualunque accenno alla difesa delle etnie e dei territori è demonizzato con l’etichetta di “xenofobia” o “nazionalismo” o, peggio, “nazifascismo”. No, cari amici “de sinistra”, cari vescovi, cari sostenitori del “libero mercato”, non è fascismo, è solo ragione, fredda ragione.
Spalancare le porte di casa propria equivale a un suicidio collettivo, a una sostituzione strisciante, ma anche piuttosto rapida, di un etnia, le cui stratificazioni hanno messo secoli per amalgamarsi, con una massa brulicante di esseri umani senza radici, senza la minima possibilità di accampare diritti degni di un popolo civile. Come è stato autorevolmente detto, non c’è niente di più autoritario e classista e in ultima analisi “capitalista”, che denazionalizzare i popoli. Si assorbe manodopera a buon mercato, devastando le nostre città, i diritti dei lavoratori, annientando i ceti medi. È lo stesso capitalismo finanziario che alimenta consapevolmente questi flussi, anche se forse in questi giorni il fenomeno è sfuggito di mano nella sua impetuosità anche a chi lo ha per decenni favorito. Già è crollata di fatto l’Europa di Schengen (come vi abbiamo raccontato in questo articolo). Possibile che gli alfieri del capitalismo globale siano soddisfatti di questo risultato? Io, qui, ragiono, ma ci sono in Europa razzisti veri, che non ragionano, e che cavalcano l’onda. È questo il risultato che celebriamo? Pensiamo che diminuirà andando di questo passo?
Qualche giorno fa, in Tv, il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha detto che l’immigrazione “è una
risorsa”, che bisogna finirla con il razzismo e così via. Ecco, questa è la dimostrazione vivente della totale schizofrenia della cultura dominante. “È una risorsa”? Signora Nicolini, posso convenire con lei che un po’ la dobbiamo accettare, che un po’ dobbiamo stringerci, ma chiamiamo le cose con il loro nome: è una tragedia! Ma quale risorsa! Provocatoriamente le dico: ma se è una risorsa, li vuole 400.000 immigrati, anzi “simpatici migranti” nella sua, nella nostra, Isola di Lampedusa? Se li vuole, abbia il coraggio di dirlo ai suoi elettori. Se non li vuole, impari a chiamare le cose con il loro nome, per favore.
Adesso veniamo alla proposta. La soluzione c’è. È dura, ma c’è. E si chiama “legalità”. Sento dire sciocchezze come azioni militari, che sarebbero percepite come crociate e che creerebbero altro caos, ovvero di blocco navale, che significa servizio taxi posto casa. Ma chi dice questo c’è o ci fa? E ci sono o ci fanno quelli che vogliono replicare l’operazione Mare Nostrum che alimenta il traffico illecito di esseri umani e favorisce la morte in mare di centinaia di esseri umani?
La soluzione c’è, ma dobbiamo intanto cambiare politica estera. E qui mi rivolgo soprattutto alla comunità siculo-americana che è destinataria privilegiata di questo giornale. Cari compatrioti siciliani al di là dell’Oceano, volete voi che esista ancora una cosa chiamata Sicilia, o volete che questa sia travolta da un’invasione barbarica quale mai è esistita nella nostra storia? Voi potete aiutarci, facendo lobby, e chiedere al governo Usa di cambiare politica estera riguardo alla Libia.
In Libia, bene o male, c’è un governo riconosciuto a livello internazionale. È un governo arabo, laico, e – se messo nelle condizioni giuste – questo è in grado di bloccare definitivamente il flusso, o riportarlo a dimensioni sostenibili. Ma dobbiamo aiutarlo, anziché indirettamente favorire l’Isis! Ma gli Usa non vogliono. Non vogliono perché il governo di Tobruk, l’unico legittimo, è sostenuto dall’Egitto, e dietro, sotto sotto, c’è l’ombra della Russia, vostra nemica (state sbagliando bersaglio, ma di questo ora non ne parliamo). A Tripoli c’è invece un governo provvisorio di ribelli, islamisti, ma non “troppo”, amico del Qatar, amico degli Usa. Gli Usa hanno troppi amici nel Golfo Persico che finanziano i nostri veri nemici, gli islamisti (che è cosa diversa da chi è islamico in quanto tale). Finanziano quelli “moderati”, come il Governo di Tripoli o i Fratelli Musulmani, alla luce del sole. Mentre finanziano “sottobanco”, magari per mezzo della Turchia di Erdogan, quelli “estremisti” dell’Isis.
Ora gli Usa, per non dispiacere agli amici qatarioti, pretendono che il Governo legittimo della Libia, laico, faccia “comunella” con gli islamisti di Tripoli, principali responsabili del caos che si sta creando sulle nostre coste. Pretesa ingiusta quanto impossibile, anche perché questi sono una quinta colonna del cosiddetto califfato, al quale passano a una a una diverse tribù che preferiscono saltare sul carro del vincitore. Con l’Isis non si tratta, questo è evidente. Con la Libia sì, e la Libia esiste, nonostante ‘Noi’ occidentali ed europei abbiamo fatto di tutto, sin dal 2011, per distruggerla. Tobruk chiede soldi e munizioni per riportare l’ordine in Libia, ma a quanto pare qualcuno fra noi preferisce il caos. E dal caos nasce questa invasione.
Noi dobbiamo favorire l’ordine in Libia, con il governo legittimo. Questo è il primo passo. Se non lo fanno gli Usa dovrebbe farlo l’Italia. Ma l’Italia di Renzi non fa niente di niente. Se non lo fa l’Italia, non può farlo la Sicilia da sola. Potrebbe benissimo, ma dovrebbe avere uno Stato proprio, anche federato, con un Presidente vero, ciò che ora non ha. Ma in ogni caso questo non basta.
A questa prima risposta bisogna aggiungere la fermezza. La nostra Marina non ha alcun obbligo di salvare i natanti nelle acque internazionali, o addirittura in quelle libiche. Solo chi arriva nelle nostre acque territoriali deve essere salvato. Ma anche lì, a condizioni “militari”. È un’invasione militare e come tale va trattata. Gli scafisti, dopo essere identificati come tali, devono essere immediatamente passati per le armi, come si conviene ad un’azione di guerra. I “migranti” devono essere identificati a bordo immediatamente. Coloro che non hanno diritto d’asilo, che non sono minori sotto i 14 anni, o donne che accompagnano bambini, o malati, o vecchi, devono essere subito ammanettati, e condotti in un centro di reclusione e successiva espulsione e rimpatrio immediato. Bisogna dare un segnale forte. Stesso trattamento per i clandestini sparpagliati per il territorio. Non sono i tedeschi o i francesi che sbagliano a non spalancare le porte di casa loro. Né è utile la guerra tra Governatori delle Regioni italiane. Ed è veramente stupido pensare che basti dire di “No” in Lombardia perché magari restino tutti in Sicilia. Noi non possiamo permettercelo e la risposta deve essere univoca e dura. Bisogna dare subito un segnale di fermezza.
Nei Paesi di provenienza deve arrivare il messaggio “duro” che l’Italia non fa sconti a nessuno, non va a prendere le persone per mare, c’è il rischio concreto di morire affogati e, comunque, una volta approdati si è rispediti immediatamente a casa. I mercantili o natanti stranieri che raccolgono profughi per mare non devono essere fatti sbarcare se non di nazionalità italiana. Se li portino a casa loro. Per quelli italiani si adotti lo stesso trattamento. Se non faremo così il flusso anziché diminuire aumenterà, è la logica e l’evidenza a dirlo. E ne saremo travolti. E questo non possiamo permettercelo. Una Sicilia in ginocchio per tanti altri motivi non può permettersi una sostituzione genetica dei suoi abitanti. E questo non c’entra nulla con l’immigrazione regolare, con l’integrazione ed altre cose su cui possiamo essere tranquillamente d’accordo. Questa è legittima difesa, dettata in ultimo dal diritto di natura. Chi dice cose diverse vi inganna, o ha paura di essere linciato se non usa un linguaggio “politicamente corretto” e finisce per dire banalità, come il Sindaco di Palermo, o come il Presidente del Senato, e tante, tante, altre “anime belle”, che non hanno la più pallida di idea di come uscirsene da una situazione oggettivamente insostenibile.
Ci sarà una terza via, fra il vero razzismo becero nella sostanza incapace di risolvere i problemi, e l’insopportabile terzomondismo dell’accoglienza sempre e comunque, spesso pelosamente interessato al “business” creato dall’indotto. Una terza via, basata sulla fermezza senza irresponsabilità. Cominciamone a parlare, ne va della nostra sopravvivenza.
Massimo Costa