L’attacco di Minosse
Nel rispondere all’appello del Prof. Costa apparso sulle pagine di SiciliaInformazioni.com è forse necessario chiedersi se sia prudente in questi giorni
parlare di “Sicilia” nei termini proposti dal docente (ed amico) dell’Università di Palermo.
Ogni volta che la parola “Sicilia” è pronunciata in quei termini lì, non si fa altro che scagliare una picconata più o meno efficace all’edificio statale italiano. Ma così facendo, stiamo forse portando in pasto i pezzi man mano disgregati (inclusa quindi quelli della nostra isola) nelle fauci di un Minotauro ancora più temibile nascosto tra i labirintici corridoi burocratici della Comunità Europea?
E’ importante chiarire bene questo punto perché altrimenti appariremmo ingenui nel far finta di non aver visto come i signori di Bruxelles abbiano a suo tempo soffiato sul fuoco regionalista, da Barcellona a Pontida, in vista dei loro fini di omogenizzazione continentale. Poco importa se oggi, in piena crisi economica globale, quei mantici sembrano essersi zittiti. La funzione di scalzamento dal basso è una leva che potrebbe tornare utile a lor signori più avanti.
E’ veramente questo il giusto momento politico e soprattutto storico per l’appello di Massimo?
Se il 22 ottobre 1805 la Spagna o la Francia avessero proposto all’Inghilterra la partecipazione ad un grandioso progetto di unificazione europea volto a scongiurare i rischi di ulteriori futuri conflitti non sarebbe difficile immaginare quale sarebbe stata la risposta di Londra.
Il giorno prima la flotta iberica, posta sotto il comando dell’ammiraglio palermitano Federico Carlo Gravina, era stata sconfitta insieme a quella francese da Lord Nelson nella battaglia di Trafalgar (i due ammiragli morirono per le ferite riportate, a dimostrazione del valore di entrambi).
Quella sconfitta segnò la definitiva e totale sottomissione del Mediterraneo agli interessi atlantici: di lì a poco anche la sua conformazione politica sarebbe stata ridisegnata per asservire quegli interessi prima con la vittoria sulla Russia nella Guerra di Crimea e poi con la conseguente unificazione italiana.
Perché mai la Corona Britannica avrebbe dovuto prendere accordi con gli sconfitti, autolimitando la propria capacità di controllo su quello che era oramai a tutti gli effetti un lago inglese?
Questa ipotetica situazione si è stranamente ribaltata nella realtà all’indomani del crollo del duopolio orwelliano USA-URSS che per tre quarti di secolo aveva bloccato in una morsa ferrea quella fascia strategica che va dall’Asia centrale al Mediterraneo.
Invece di proseguire il suo viaggio unilaterale verso la conquista finale dell’intero globo, ecco che l’asse atlantico si precipita a forzare le tappe dell’unione europea a colpi di mani pulite e di quant’altro avrebbe portato alle stragi di Palermo con l’obiettivo dichiarato di scongiurare ulteriori futuri conflitti in Europa (vale la pena qui ricordare come l’Inghilterra, dietro una titubanza di facciata, abbia sposato appieno il progetto UE e detenga oggi tramite la sua banca centrale il 15% circa delle azioni della BCE, una quota inferiore solo a quella tedesca).
Perché tanta fretta? A guardar bene, quello che è successo dopo il varo della moneta unica, dalla rinascita della Russia di Putin alla sostanziale sconfitta occidentale in Iraq ed in Afghanistan, suggerisce che la storia non ha ancora raggiunto il suo apocalittico punto di arrivo: la richiesta di un armistizio da parte di chi apparentemente tiene il coltello dalla parte del manico appare dunque perlomeno singolare.
Come appare singolare che tra le nazioni che in Europa stanno subendo gli attacchi più duri da parte della finanza speculativa anglosassone ci siano proprio quelle con le più profonde radici mediterranee, dalla Grecia, alla Spagna alla stessa Italia. Ed alla Sicilia, negli ultimi giorni accerchiata nel tentativo di pilotarne l’insolvenza, quasi fosse già una nazione a se stante.
Sotto questa luce ora possiamo meglio focalizzare una delle funzioni principali di questa Unione Europea: quella di continuare a tenere il Mediterraneo, le cui energie si stanno ora tornando a liberare, sotto il controllo atlantico. Ebbene: se al di là dei meri propositi, la Sicilia di cui parla Massimo Costa è proiettata a sfuggire alle maglie di questa rete, allora non esiste momento migliore per pronunciarne il nome.
Se la Sicilia progettata in quei dodici punti potrà essere il filo d’Arianna che libererà il mondo mediterraneo dai sacrifici dis-umani imposti ai suoi popoli da un nuovo Minosse e se quella Sicilia collaborerà realmente a dare il colpo di grazia non solo all’Italia per come è stata unita sino ad ora, ma anche a questa Europa già di per sé in via di dissoluzione, allora questo è il momento per gli argonauti di agire. Tutti insieme e senza guardarsi indietro.
Abate Vella