PENSANDO AL PONTE
Sicilia, 21 giugno 2000
Oggi come oggi, il ponte sullo Stretto di Messina è una pura follia demagogica, velleitaria e offensiva del buon senso prima ancora che dell’ambiente. La mia avversione per il « pontazzo » la esprimo semplicemente da giornalista siciliano, orgoglioso della sua insularità, ma non fanatico.
La « lentezza » e la « lontananza », in assenza di prodotti, merci o servizi di più efficace valore intrinseco, rappresentano – a mio modesto avviso- la peculiarità più preziosa che la Sicilia possa vantare. Venire nell’Isola deve evocare l’idea letteraria e favolistica del « viaggio », un luogo della mente, meta di « viaggiatori » piuttosto che orde di turisti
scalcinati.
Le nostre arance, la più parte delle quali finisce distrutta sotto I cingoli dei bulldozer, con il contributo e la benedizione dell’Unione europea, non acquisteranno più valore risparmiando un’oretta d’imbarco sui ferry boat. Così come il « pontazzo » non abbatterà I costi di trasporto dei microchip made in Sicily.
La nostra lontananza commerciale è da imputare alle vessatorie tariffe dei voli, sia per le persone sia per le merci, ancor più insopportabile fino a quando è durato il monopolio dell’Alitalia. Tariffe che sulla tratta Palermo-Milano superano in qualche caso quelle per New York.
L’handicap dei collegamenti è causato dall’assenza di una rete ferroviaria e stradale moderna ed efficiente.
E lì che si perdono ore su ore, non sui traghetti.
Quanto alle leggendarie correnti turistiche, arrivano in aereo, più che in auto, pullman o treno. E in tutti i modi non saranno quelle « masse », fino a quando continueranno a essere accolte, salvo eccezioni, in orrendi alberghi dormitorio, voluti e finanziati da molti degli stessi che oggi reclamano il ponte, a cambiare il destino dell’Isola.
Il nodo da sciogliere, nella politica del Sud, è nella scelta tra la valorizzazione e il rispetto delle bellezze della « Magna Grecia » e quelle del « magna, magna » che il faraonico progetto lascia presagire !
Cosa ci guadagni poi la Calabria, a parte la devastazione paesaggistica della punta di Scilla, è ancora più oscuro. A meno che non si valuti che un
investimento di decine di migliai di miliardi possa dare un colpo d’ala alla sua disastrata economia, grazie alla mescita di qualche caffé o Coca Cola in più sugli autogrill alle folle in transito verso la « terra promessa » : la nostra amatissima Trinacria.
Gli entusiasmi per il « pontazzo » ricordano quelli con I quali furono accolte le raffinerie e gli stabilimenti petrolchimici negli anni Cinquanta-Sessanta. Tutte quelle orrende e pestilenziali torri d’acciaio furono celebrate come il segnale della modernità che avanzava e finalmente aveva benedetto anche la Sicilia.
Se questo è il progresso… lasciateci in pace nella nostra « lontananza, lentezza e insularità ».
Toti Palma