Perché sto con i “Forconi”. Con qualche se e qualche ma…
Che cosa sta succedendo in Sicilia in queste ore? È solo una manifestazione sindacale? È una rivolta? O è una vera Rivoluzione, come dicono i promotori?
Secondo me, anche al di là delle prime intenzioni degli organizzatori c’è un tappo che è saltato o che sta saltando o che, volendo essere proprio ottimisti, rischia di saltare da un momento all’altro: quello della apparente eterna pazienza dei Siciliani. I Siciliani in realtà non sono mai stati un popolo domo e paziente come l’abbiamo conosciuto in questi ultimi cinquant’anni. È stato soltanto drogato da qualche briciola di assistenzialismo e inondato da dosi massicce di disinformazione nazionale come arma di distrazione di massa.
Ma la Questione Siciliana, nei suoi tratti essenziali, è rimasta lí, irrisolta, secolare, come il carattere degli abitanti di questa bella e terribile Isola. Guai a prendersi gioco fino in fondo di questo Popolo quando è affamato, guai ad avvilirlo ancora di piú; diventa pericoloso. Si getta soltanto benzina sul fuoco, e la fiammata, prima o poi, è inevitabile.
Se anche andassero tutti a casa i dimostranti sabato mattina, prima o poi la Rivolta scoppierà ancora piú furiosa, indomabile, e forse, allora, sarà anche una Rivoluzione in senso stretto. Chi mai vorrebbe, anche se necessario, uno sconvolgimento simile?
Le rivendicazioni delle categorie produttive che hanno messo in ginocchio la Sicilia non solo sono sacrosante, dettate dall’esigenza di sopravvivere, ma sono anche nell’interesse di tutti i Siciliani, altro che corporative! E sono mature al punto da capire che la sepoltura dello Statuto da parte della classe politica siciliana non potrà che essere la loro sepoltura, come di una classe di inetti e di venduti. Ovvero sarà la sepoltura della Sicilia. La lotta per la sopravvivenza di ciò che resta dell’economia siciliana si salda con la lotta per la sopravvivenza politica e istituzionale della Sicilia. È questo il fatto nuovo. Se succederà – come sembra – che questo malcontento si salderà a sua volta con quello diffuso di lavoratori, ex lavoratori, giovani disoccupati e casalinghe, sarà un fiume in piena che nessuno potrà fermare.
Sanno i lavoratori che stanno per perdere il posto di lavoro per la politica terminator della Fornero che il nostro articolo 17 potrebbe arrestare l’invocata libertà di licenziamento indiscriminato sul bagnasciuga di Ganzirri? Sanno i disoccupati che con la fiscalità di vantaggio che la Sicilia può permettersi avremmo la fila per ottenere aree industriali da parte di imprese di ogni nazionalità?
Se lo sapessero veramente, e sempre di piú lo sanno, le piazze sarebbero inondate e la marea diventerebbe inarrestabile. E forse lo diventerà comunque. Per ora ci sono soprattutto gli imprenditori. Ma la vera lotta di classe non è piú tra imprenditori e lavoratori, bensí tra parassiti speculatori e “produttori”, con o senza partita IVA. E la Sicilia ha pochi parassiti e molta gente vera, che si alza la mattina per portare il pane ai propri figli. Chi può fermare un popolo fiero e armato dalla disperazione e, finalmente, dalla coscienza nazionale di fare parte di un’unica comunità storica, oggi avvilita, ma sempre presente sotto la cenere.
Infiltrazioni? Strumentalizzazioni? Chissà. Ci sono sempre. Ma io sono stato lunedì mattina a un posto di “blocco” e non ho visto né fascisti, né galoppini di chissà quali partiti nazionali, né picciotti mafiosi o chissà cosa. Ho visto padri e madri di famiglia, magari senza chissà quali studi, ma pieni di rabbia, di rabbia e di orgoglio di essere siciliani e di riscattare la propria terra.
È chiaro che ci saranno molti padri che cercheranno di cavalcare la tigre. È chiaro che ci saranno molti depistaggi che cercheranno di delegittimare la rivolta. Ma questo non ne farà cambiare la natura di rivolta di Popolo, né la potrà fermare. Soltanto, al piú, trattenere dubbiosi a casa molti amici e fratelli che “non ci vedono chiaro”, “sono perplessi” e amenità varie.
Quando c’è una rivoluzione non si fa in salotto. Si fa e basta. Magari, se teniamo come dobbiamo i nervi saldissimi, con il massimo del rispetto e del pacifismo. Lo slogan “morte ai (nuovi) francesi”, o “nuovo Vespro”, va bene se evoca fermezza e desiderio di svolta. In senso letterale, preferirei se possibile evitare…
Ho sentito che una frangia importante del movimento addita anche il Governo regionale fra i traditori. Sul punto la questione mi pare assai opinabile e comunque è secondaria. Credo che, in questo momento, attaccare (non tanto in sé, ma in questo modo radicale), un governo oggettivamente debole, assediato dai poteri forti nazionali, azzoppato da continue sentenze illegittime della Consulta che vanificano il dettato letterale dello Statuto, magari per consegnare la Regione agli ascari di sempre, non mi sembra una scelta molto indicata. Qualunque cosa si pensi del Governo Lombardo; qualunque cosa si pensi di questo Giano Bifronte, in continuità (ma come potrebbe diversamente?) con l’antica Regione, ma anche punto evidente di svolta rispetto al piú nero e recente passato… Colpa? Merito direi. E non dimentichiamo l’eroismo dell’assessore Armao che, per difendere lo Statuto, è arrivato ad impugnare il bilancio dello Stato, sapendo che la Corte Costituzionale, giudice mal costituito, darà senz’altro torto alla Sicilia. Ma che doveva fare? Dichiarare guerra all’Italia? Comunque rispetto le opinioni diverse e gli schieramenti avversi. Ci mancherebbe.
Questo obiettivo assolutamente secondario e certamente non presente negli slogan dei manifestanti, attenti a ben altri problemi, non può essere il pretesto per restare “neutrali” (!?). Io credo che tutti abbiano il dovere di alzare la posta, scendendo in piazza, senza bandiere di partito, sí, ma con i propri obiettivi. Le rivendicazioni economiche dei manifestanti, le uniche veramente sentite, sono di tutti. E allora? Scendiamo tutti in piazza, fisicamente o moralmente.
Scendano in piazza i Comitati per l’Attuazione dello Statuto Siciliano. Non certo per chiedere insignificanti e controproducenti dimissioni dell’attuale Governo regionale, e al limite neanche di quello statale ci importa in quanto tale, ma per associarsi alla richiesta di abbassamento delle accise petrolifere e la loro devoluzione alla Sicilia come è richiesto peraltro dalla stessa Assemblea. Chiedano anche l’istituzione di un tavolo VERO per l’attuazione dello Statuto Speciale della Regione Siciliana.
Se non chiediamo ora l’attuazione dello Statuto quando mai dovremmo farlo? Non vedete che il Presidente della Repubblica ha snobbato il nostro appello? Che ci resta da fare? Causa allo Stato? Sí, vabbè…
Scendano in piazza i partiti che si dicono indipendentisti. Non sarà l’indipendenza, ma si sta lottando per la Sicilia, magari dissociandosi con un comunicato ufficiale da attacchi al Presidente della Regione che – ripeto legittimi in sé – possono altrettanto legittimamente essere distinti dalle altre rivendicazioni in quanto qualcosa che oggettivamente e inutilmente divide.
Piú saranno i Siciliani, piú l’Italia non potrà ignorarli e dovrà dare una risposta. Se posso esprimere un’utopia vorrei che anche il Presidente e gli Assessori uscissero dal “politicamente corretto” e si unissero a questa protesta. O se loro, istituzionalmente, non possono farlo, scendano in piazza tutte le seconde file e le terze file di coloro che si definiscono “autonomisti”, dentro e fuori i partiti italiani. Siete siciliani o no? Siete per l’autonomia o no? Qui ci vuole il moderno e semplice “Dici Cìciru” che fa da cartina da tornasole.
Certo, sui modi della protesta, mi permetto di dare un piccolo consiglio ai manifestanti. Non rendete insopportabili i sacrifici dei Siciliani. Non fate la guerra ai Siciliani, scambiandoli per i vostri nemici. Lasciate passare, magari a singhiozzo, i rifornimenti annonari alla popolazione. Concentrate invece, con mezzi quanto piú possibile pacifici, la vostra attenzione sui disagi per il Continente. Se scarseggiassero gli idrocarburi in Italia, forse anche Monti verrebbe a piú miti consigli e Mentana non direbbe che la giornata è stata segnata dallo sciopero dei tassisti di Roma. Anche simbolicamente è lo Stretto che dovrebbe essere presidiato, oltre che i porti in generale. Le immagini dello stretto presidiato dalle bandiere gialle e rosse con la Trinacria deve fare il giro del mondo. Se così accadrà avremo già vinto.
E se in Italia troviamo solidarietà? Tanto meglio. Molte battaglie sono comuni e la Sicilia, come nel 1848, può infiammare l’Italia e, a seguire, l’Europa. Non cacciamoli in nome di un gretto separatismo. Certo, non prendiamo ordini da nessuno, non facciamoci intruppare o strumentalizzare da nessuno, e soprattutto non ammainiamo le nostre bandiere giallo-rosse, vero e inconfondibile simbolo di questa Rivoluzione.
Se non ora quando?
Massimo Costa