I 70 anni di Bob Dylan
E’ molto difficile parlare di Dylan oggi, nella ricorrenza del suo 70esimo anniversario, tanto tempo dopo che il primo corvo annunciava che Dylan era finito, che Dylan era un traditore troppo occupato a guardarsi indietro. Ma Dylan è sempre là: è il bisogno del mito, del mito da costruire e poi da abbattere a tutti i costi.Vi chiedo, non si fa così’ per tutti i miti?
Dall’alto del loro pennino spuntano nuovi Bertoncelli e nuovi Caffarelli ed intanto Dylan ha pubblicato Modern Times, ha scalato le classifiche mondiali, è ripartito per Cina e Vietnam nel suo viaggio infinito che si fermerà il 22 giugno, per una sosta molto breve del resto, anche a Milano.
Dylan tornerà in Italia, come gli succede ormai almeno una volta all’anno, per l’ennesima sosta del suo Neverending tour, il viaggio infinito dei 2000 concerti, partito già nel 1988 da Concord , California.
A quei tempi Dylan aveva concluso il suo decennio mistico e dopo gli Human be in, le marce pacifiste, la protesta contro la contaminazione nucleare, il suo disimpegno dalla politica, denunciato con enfasi dall’amante tradita Joan Baez, arrivava alla svolta mistica, ritmata da “Slow Train Coming”, il lento treno che , introdotto dalle chitarre dei fratellini Kopfler (Dire Straits), parlava dell’angelo, il segnale della riconversione, del suo ritorno a Dio, sottolineato poi dall’invito dello stesso Papa Giovanni Paolo II a Bologna, in occasione del XXIII° Congresso Eucaristico Nazionale.Era il 27 novembre 1997.
Quel Grande Papa finalmente vicino , amico ritrovato, fratello più’ grande che voleva ascoltare la voce di quello più’ piccolo ed interessarsi al suo mondo. Serata importante perché dava un punto di riferimento a quella parte del mondo giovanile certamente molto numerosa ma troppo sovente lasciata sola ed indifesa di fronte alla massa sballottata dai riti del consumismo fine a se stesso , nel migliore dei casi ,se poi non ha addirittura subdoli fini di manipolazione politica.
Allora la presenza in Vaticano di Dylan, il profeta di tutta una generazione, era stato elemento di novità e di provocazione forse .
E Dylan , come il figlio dagli occhi azzurri che era stato fuori tanto tempo, aveva salutato il Papa, dopo la pioggia acida, e sembrava che avesse bussato, letteralmente, alle porte del Paradiso.
“Tieni questa stella mamma, fammi luce perché sento arrivare il buio mentre sto bussando alle porte del paradiso”, era stato il suo commosso saluto al grande Papa quando aveva attaccato “Knockin’ on Haeven’s Door”.
Gira la sfera del tempo e Bob Dylan ci regala come nel 2007 a Milano, spettacoli musicali intimi per pochi eletti, concerti distaccati dal chiasso dei media, senza le code al botteghino né le fans isteriche , segnale forse della decadenza di un mito che lo stesso artista sembra voler favorire quando da tempo rifiuta di celebrare dal vivo il suo passato, stravolge il suo presente e se include le sue canzoni più’ famose nella scaletta da eseguire in concerto lo fa spesso in maniera quasi irriconoscibile cercando di reinventare non solo nuovi arrangiamenti ma anche cambiando le stesse parole dei testi
E forse risiede proprio qui il fascino e il mistero di Dylan: il tentativo di stravolgere il proprio passato e di riproporsi al presente in maniera differente.
Come quando in “It’s All Right Ma’ dice:” non è niente mamma, sto soltanto sospirando , è la vita e soltanto la vita”, immaginiamo il vecchio menestrello finalmente abbracciato alla sua Stratocaster bianca, come il suo stetson , come il desiderio inascoltato di quanti lo vogliono ancora e sempre alla chitarra acustica , come quando attacca , struggente, “to Ramona” , un sogno che non esiste, un inganno “perchè tutto passa e tutto cambia”.
E tutto cambia quando ci ha offerto le gemme dei tempi moderni “‘Modern times”, il nuovo album che, a dispetto del titolo, di moderno sembra proprio non avere niente.
Dylan abbandona la vecchia Stratocaster e prende le tastiere e canta ora con la voce del Crooner anni ’50 ora con il timbro nasale reso ancora più’ aspro dall’eta’.
Ed è Il rock di “Rollin’ and Tumblin'” e il blues della splendida ballata “Spirit on the Water” , dove la band raggiunge il suo affiatamento dopo le iniziali titubanze. Dopo “Desolation Row”, dove la luna è quasi nascosta e le stelle incominciano a svanire, “I’ll’ be Your Baby Tonight – ..porta quella bottiglia qui vicino, staremo insieme questa notte”, mantenuta da un percussionista eccezionale come George Receli che sembra sostenere Dylan con la batteria senza fargli perdere neanche un battito.
Quindi” When the Deal Goes Down”, struggente con la sua struttura di valzer e “Most likely You Go Your Way – “ti lascerò’ andare e il tempo poi dirà chi di noi è caduto, chi di noi é stato sorpassato”
Tipica struttura delle ballate country poi, con “Nettie Moore” con le percussioni ripetute e il violino di Donnie Herron, e con” Ain’t Talkin'”, introdotta dalla voce rauca di Dylan e dal ritmo cadenzato che parla e sembra viaggiare nel buio della sala che illuminata dai telefonini come lo era una volta dagli accendini. E quindi un pezzo sacro estratto dal magico album Highway 61 Revisited, quel “Like a Rolling Stone”, che aveva fatto gridare al sacrilegio nel momento della svolta elettrica del menestrello di Duluth, Minnesota, e che ancora fa gridare di rabbia e di stupore quanti ancora lo amano e lo seguirebbero dovunque.
Torniamo quindi ai tempi moderni e al rock puro del tuono sulla montagna “Thunder on the Mountain e al finale “c’é troppa confusione, non riesco ad avere un attimo di pace, di “All Along the Watchtower” con freddo inchino, presentazione della Band e silenziosa uscita di scena
E cosi’ il concerto: e mentre Dylan racconta le sue filastrocche noi lo osserviamo attenti e con lui è la nostra gioventu’ che ritorna a casa con tutto il suo carico di rivolte, amori, errori, cose giuste e cose fatte.
E’ quello in cui avevamo creduto, quello che pensavamo fosse proibito, fosse ‘out’, che ci aveva forse illuso e che torna, non fosse altro che per offrirsi alla catarsi di una serata magica di musica
Mano a mano che la voce snocciola musiche diventate litanie che solo noi possiamo riconoscere alla fine perchè ne conosciamo a memoria gli accordi e le parole, ci accorgiamo che gli errori della nostra gioventu’ vengono emancipati, ridimensionati, assolti, passano con una pacca sulle spalle e ti lasciano pensare che forse tanto cattivi non dovevamo poi essere stati…
Auguri quindi a Bob Dylan dai suoi amici dell’ ” Isola” che, per un attimo, vogliono astenersi dai commenti di una situazione politica siciliana che vive lo stallo di ogni iniziativa, in attesa del confronto elettorale di domenica prossima. Riascoltando volentieri il loro “complice” in una serata di magia, di ritmi e di musica , piegati ma non vinti dal peso del tempo e della memoria vogliono salutarlo con i suoi stessi versi:
“Che tu possa avere solide radici quando il vento cambierà direzione e che tu possa costruire una scala per le stelle e che tu possa poi salirne ogni gradino per crescere, essere giusto, essere vero…”
Eugenio Preta