Sedotta e abbandonata

(Siculiana – giugno 2010) – Quando girarono alcune scene di Sedotta e abbandonata a Siculiana, io avevo poco più di sette anni, e mi ricordo tutto il trambusto che si era creato dalle truppe cinematografiche di Pietro Germi. Vi era decisamente una aria di festa. Il Maestro aveva scelto alcune comparse del luogo, compreso un pastore con tutte le sue pecore. Le scene venivano girate in Piazza Umberto e anche a  ex Piazza Municipio, ora Piazza Giuseppe Basile. Titolata così in onore dello storico medico siculianese garibaldino che curò la gamba nell’Aspromonte al Generale, insieme ad altri suoi due colleghi.

Dopo qualche anno, questo film fu proiettato nel cineteatro locale. Tutti i Siculianesi eravamo presenti, calcati l’uno all’altro e fortunato chi capitò un posto a sedere. Quando abbiamo visto il nostro caratteristico panorama, all’unisono abbiamo avuto un sussulto, poi le scene e quelle facce dei  nostri paesani, tutte quelle pecore, nel grande schermo dove avevamo assistito alle mitiche gesta di Maciste, ci suscitarono meraviglia e una irrefrenabile ilarità.

Io allora non capii tantissimo di tutta quella vicenda del film, ma mi ricordo ancora il silenzio di tutti noi e il mio acerbo rammarico nella scena del maresciallo che nascondeva con la sua mano la Sicilia nella carta geografica mentre annuiva ad una Italia senza l’Isola.

Alcune immagini vengono vissute senza la consapevolezza della semenza contenuta, della sostanza filosofica che le sostengono, però germogliano nella nostra mente diventando alberi di quella nostra foresta interiore.

Così è stato per me, ho riflettuto molto su questo concetto di una Italia senza la Sicilia, ma lo sviluppo è stato diverso e contrario, cioè una Sicilia senza l’Italia.

Il ricordo di Andrea Camilleri è differente, perché durante la proiezione del film a Porto Empedocle, non vi fu il silenzio degli spettatori come nel cinema di Siculiana. Il maestro ricorda che una voce solitaria, con tono sostenuto disse: “Attenzioni, ca accussì l’Italia sciddica!” (Attento, così l’Italia scivola). Scatenando la risata liberatoria di tutto il pubblico marinisi presente.

La mia memoria è stato sollecitata dalla lettura dell’articolo di Gaetano Savatteri L’idea di Letta: cancellare la Sicilia pubblicato a pagina 30 sulla rivista S n°28 anno 4 giugno 2010 Società editrice Novantacento s.r.l. Palermo, direttore responsabile  Francesco Foresta.

Il bravissimo Savatteri nell’articolo ha paragonato il vicesegretario del Partito Democratico Enrico Letta al maresciallo del film. “Ha provato a immaginare come sarebbe più semplice e meno faticosa l’Italia senza la Sicilia, ma pure senza la Calabria e la Campania. Senza queste tre regioni, ha detto Letta, l’Italia avrebbe dei parametri economici pari a quelli di Germania e Francia.” Testualmente Letta dice: “Il Sud rischia sempre più di affondare, non è più tempo di nascondere la testa sotto la sabbia”.

Per chiarirci le idee, per il vicesegretario del PD, il Sud è zavorra e va sganciato via. Non tutto il Sud però, il giornalista spiega nell’articolo che la Puglia e la Basilicata, dove il PD ha vinto le elezioni, vanno salvate.

Oltre la riflessione di carattere elettorale con l’equazione: sconfitta del PD sta a fallimento dell’elettorato. Vecchio discorso dall’unità d’Italia ad oggi, in relazione al risultato elettorale il voto è mafioso o no.
Proprio su Studio su Il Ciclo degli Uzeda nella sottolineatura su L’Illusione (PARTE SECONDA CAPITOLO OTTAVO Pagina 169) facevo questa riflessione:  “L’accusa razzista ai Siciliani di briganti, mafiosi, criminali per nascita, maggiormente si arguiva quando il loro risultato elettorale non era di gradimento. E’ significativo in tal senso tale contributo di Francesco Renda, così leggiamo nel suo:  Storia della mafia –  Sigma edizioni – 1997: (Pag.101)…nel 1874, allorché, sciolta la Camera dei deputati e indette le elezioni generali anticipate, la Sinistra in Sicilia ottenne un trionfo che ebbe del clamoroso. Su 48 seggi, ne conquistò infatti 40. (…)Il voto siciliano fu denigrato, demonizzato, dipinto con i più foschi colori. Si gridò alla ingratitudine, alla malafede, al capovolgimento dei valori, al trionfo del malcostume e dell’inganno. In contrasto coi numeri e coi fatti, si aggiunse ancora che il voto medesimo non era suscettibile di influire sugli equilibri italiani, perché era insieme un voto di opposizione mafiosa e di opposizione meridionale. anzi, peggio ancora, un voto di opposizione regionale. Dire opposizione meridionale o regionale non era meno ingiurioso che dire opposizione mafiosa.

Proprio questo asserisce il vicesegretario Enrico Letta che in queste regioni possono nascere movimenti sudisti per reazione alla Lega. Come l’MPA di Raffaele Lombardo, considerato dal PD il punto dove fare forza per lesionare la coesione dei berlusconiani siciliani.

E guarda caso, oggi leggendo LA SICILIA, anno LXVI N. 150 di mercoledì 2 giugno 2010, proprio in prima pagina vengo attratto da un titolone: Benzina, in Sicilia più cara e precisamente nel capitello, LE COMPAGNIE LANCIANO UNA NUOVA CAMPAGNA CHE DIVIDE IL PAESE. Continuando a leggere a pagina 9 l’articolo a firma di Giuseppe Salmè, spiega che l’Eni punterà sulla diversificazione dell’offerta e quindi del mercato. “La domanda di carburante al Sud è inferiore rispetto al Nord per ovvi motivi.” Questi motivi lo sappiamo è la mancanza di sviluppo d’industrializzazione del Sud. Il giornalista spiega pure che: “Le autorizzazioni, cioè i decreti per l’esercizio dei nuovi impianti, hanno una storia più lenta che altrove.” Anche qui le famose pastoie burocratiche che rallentano la vita economica. Ecco che allora scatta la riflessione: “La Sicilia, regione petrolifera, paga di più la benzina che le raffinerie insediate nella regione producono.” Allora, mentre nel Nord, come ci informa la Staffetta Petrolifera, il prezzo è in calo, “al Sud si registrano aumenti nell’ordine del 3-4 centesimi al litro.” Toni Zermo, sempre in prima pagina del quotidiano nel trafiletto L’ultima beffa dei petrolieri, scrive: “Ci sembra la stessa storia per cui paghiamo di più l’energia elettrica non avendo noi i bacini idroelettrici che ha il Settentrione, tra l’altro più vicino alle centrali nucleari francesi. Per cui la Lega ha indotto il governo a stabilire prezzi differenziati per tre macroregioni: il Nord, il Centro e il Sud.” Il giornalista informa, inoltre, che “In Sicilia raffiniamo il 50% della benzina assorbita dal mercato italiano e in più un 6% destinato, non sappiamo perché, al mercato tedesco. (…) E questo senza contare l’appestamento dell’ambiente, i casi di tumori, le malformazioni dei neonati, i pesci morti e quant’altro. (…) nessuno può dimenticare la “morte per asfissia” di Marina di Melilli i cui abitanti furono deportati altrove.”

Vorrei aggiungere la storia della piattaforma Vega Alfa che dal 1987 estrae il petrolio, sistemata su quattro piloni che poggiano sul fondo marino, a circa 25 chilometri dalla costa di Marina di Ragusa. Alcuni giorni fa su RAI 2, alle 6,15 di domenica, nella rubrica “Tg2 Storie”, hanno fatto vedere come era in ordine e sicura presidiata da un equipaggio tra i 18 e i 25 addetti, dal marcato siciliano, per ciascuno dei due turni che arrivavano mediante elicottero dall’eliporto di Siracusa o con mezzi navali dal porto di Pozzallo. Nel servizio televisivo hanno omesso di informare che quella piattaforma era nel Canale di Sicilia, forse una dimenticanza, oppure volevano evitare la suscettibilità di qualche leghista?  Dalla stampa locale si viene a conoscenza della superpetroliera Vega oil ex Agip Sicilia, 250.000 tonnellate di capacità, utilizzata dalla piattaforma come serbatoio galleggiante, ancorata ad una speciale briccola collegata con una sealine di circa 2 chilometri alla piattaforma. Proprio dal 1987 che la Vega Oil non ha avuto una passata di smalto nonché una minima manutenzione. Tanto che la capitaneria di Pozzallo dopo il tam tam nei blog e della stampa locale ha dovuto controllare e costatare l’estremo degrado della Vega Oil.   La Guardia costiera ordina così ai proprietari di effettuarne la manutenzione per riportarla a condizioni di sicurezza ottimali. Per la mancata manutenzione della Vega Oil la Procura, su segnalazione della capitaneria di Pozzallo, ha iscritto tre persone sul registro degli indagati. Nel mese di luglio del 2008 è stata sganciata dalla struttura fissa Vega Alfa ed è stata sostituita dalla petroliera, super e in condizioni buone, Leonis. La storia non finisce ancora perché la Procura della Repubblica ha concluso una seconda indagine, chiedendo il rinvio a giudizio per sette indagati accusati di inquinamento per avere smaltito rifiuti speciali e pericolosi in mare, quando la Vega Oil fu svuotata. La struttura galleggiante conteneva 60mila tonnellate di greggio e 40 mila di gasolio. I sette incriminati sono: l’armatore Andrea Cosulich, di Genova; il rappresentate legale della compagnia petrolifera ed il responsabile dell’attività di estrazione, Umberto Quadrino, di Milano; Marcello Costa, di Siracusa, amministratore delegato della Edison; Michele Giannone; Francesco Lubrano ed Angelo Maione, responsabile della sicurezza sulla piattaforma.

Proprio negli episodi come questo riportato sopra si ha l’amara concretezza della colonizzazione della Sicilia.

Tralasciamo lo sconcio irrimediabile della concentrazione di brutture industriali in una delle più belle coste del mondo intero, da Agusta (Siracusa) a Milazzo (Messina), di grande interesse e concentrazione di beni archeologici,  ma l’inquinamento mortale cancerogeno di mercurio e altre scorie poco precisate, segna definitivamente l’angustio destino della vita, qualsiasi essa sia vegetale o animale, in primis la specie umana. Il petrolchimico in Sicilia causa malformazioni, malattie da industrializzazione, risorse idriche devastate e sottratte ai territori. Spiegandoci così, finalmente e seriamente, come mai la Sicilia ha penuria di acqua e non con la solita minchiata di Mary per sempre: manca l’acqua per colpa della mafia.

Con oggettività si può affermare che l’Italia non ha avuto rispetto per il Popolo Siciliano, per la sua Terra. L’interesse dell’Italia è stato solo lo sfruttamento di risorse, rendita e capitale, come hanno fatto e fanno, nel passato e nel presente, i più ignobili colonizzatori in ogni parte del mondo.

Nell’intervista pubblicata sul Il Sole 24 Ore del 16 gennaio 2009 fatta al Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ho trovato alcuni passi importanti.

Primo: Così non va. Neppure un casinò ci fanno fare, quasi dovessimo mettere a rischio Campione d’Italia. Intanto però ci tagliano un miliardo e mezzo per le strade provinciali, utilizzano le risorse del Fas (Fondo aree sottoutilizzate) per finanziare tutto tranne che il Sud e arrivano addirittura a prevedere un costo più alto della bolletta elettrica proprio qui, in Puglia e Sicilia, dove si produce gran parte di quella utilizzata nel Paese!”.

Secondo: “(…) la secessione già c’è nei fatti. Ci sono due Italie, quella dove ci si lamenta perché c’è un intasamento del traffico ferroviario per l’arrivo dell’Alta velocità e quella dove neppure ci sono le ferrovie: mi piacerebbe invitare miei amici leghisti a fare un viaggetto in treno. tra Palermo e Catania.”

Terzo: “Al contrario.(il federalismo) lo condivido il principio che una tac deve costare in Lombardia come in Sicilia ma l’Alta velocità non me la posso fare da solo! E se qualcuno pensa che la compartecipazione si fa con l’Irpef, si sbaglia di grosso. Ogni anno lo Stato con le accise petrolifere su quanto viene raffinato in Sicilia recupera ben 10 miliardi: ce ne lasciassero la metà e il Ponte sullo Stretto ce lo finanziamo in due anni!

Come possiamo costatare dal gennaio 2009 a oggi le cose sono peggiorate e di molto, ora destra e sinistra parla come il maresciallo di Sedotta e abbandonata, la bolletta elettrica e il carburante, noi Siciliani lo paghiamo di più, ma il federalismo che si vuole adottare, senza rispetto alcuno del patto costituzionale, che l’Italia ha sottofirmato, dell’Autonomia Siciliana, è quello delle due braccia: uno lungo e l’altro corto.

Leggo su WWW.sicilia.agrigentonotizie.it il 19 aprile 2010 alle 18,48 che il vicepresidente della Regione con delega all’Economia, Michele Cimino, in risposta alle dichiarazioni di Bossi al quotidiano spagnolo El Pais, “nelle quali rivela che la Lega non ha abbandonato i suoi intenti secessionistici”, afferma: “Se la Padania è una nazione schiava del Sud, perché costretta a dare loro tutti i soldi allora anche la Sicilia rivendica di essere ‘padrona in casa sua’ e delle sue immense ricchezze storicamente depredate dal Nord, libera di portare avanti una politica di riforme per il bene del territorio. Basta con le imposizioni dalla Lega al governo fermiamo il ‘nord ladrone’ dove alla ‘questione meridionale’ si contrappone la ‘questione settentrionale’, ovvero la volontà del Nord di mantenere la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere, conquistato con le armi e una legislazione squilibrata. Dopo centocinquant’anni questo sistema rischia di spezzare il Paese. La Sicilia è come una signora coniugata con uno Stato che vuole divorziare, ma non le vuole passare gli alimenti”.

Per continuare con la similitudine dell’onorevole Cimino, La Sicilia e l’Italia sono come due coniugi separati in casa e da tempo, precisamente dal 1948, dove gli accordi presi nel 1946 continuano a non essere onorati dall’Italia.

La Sicilia dopo essere stata sedotta con falsità di propositi di libertà nel 1860 è stata seviziata, derubata, nel 1946 avviene la separazione consensuale in casa (Statuto d’Autonomia) continua da essere truffata, ora nel 2010 si parla di divorzio.

In molti testi tecnici sulla Autonomia si può riscontrare il tradimento dello Stato Italiano alla carta pattizia. Proprio Cimino in un suo libro dal titolo FEDERALISMO E SOLIDARIETA’ – L’esempio dello Statuto siciliano (Edizione La Zisa – Pioppo –Palermo- 1995) molto approfondito e ricco di riferimenti sulla questione della potestà tributaria. La tesi conclusiva  del Cimino è che (pagina 80) … in modo confutabile, come il problema  della definizione della normativa di attuazione in materia finanziaria, finisca con l’essere la questione centrale dell’autonomia siciliana”

Il problema della potestà tributaria è molto complesso e lungo, cercherò di essere breve, pertanto bisogna avere conoscenza di ciò che l’articolo 36 e 38 dello Statuto sancisce in materia di autonomia finanziaria. Questi due articoli, forse in origine fusi assieme sanciscono in primis l’esigenza di un proprio bilancio espressione di una propria volontà politica. Senza di ciò l’Autonomia è fittizia.

Un colpo mortale alle economie della Sicilia, comprese tutte le realtà aziendali siciliane, è stata la riforma tributaria avvenuta con la legge del 9 ottobre 1971 n°825 che ha stravolto ciò che si era chiarito nel 1965 in tale materia. Il fatto di aggravare di una imposta come l’IVA e pertanto equiparare la velocità di flusso economico le aziende siciliane a quelle del nord, ha innescato un duro freno allo sviluppo.
Non solo, il gettito IVA era stato riconosciuto alla Regione, tranne quello delle aziende che hanno la loro sede amministrativa fuori il territorio siciliano. E qui c’è la beffa, perché dal 1975 le spese dovute al personale degli uffici statali gravano sulla Regione, però aziende come la Fiat e l’Agip, non pagano l’IVA alla Sicilia, ma gli effetti disastrosi delle loro aziende rimangono alla Sicilia e a noi Siciliani.

Un ultima riflessione sull’art. 38 il quale ha un valore politico ben preciso ed è il risarcimento dell’Italia alla Sicilia dei danni causati dall’unità ad oggi contribuendo al fine di favorire una equiparazione dei redditi di lavoro siciliani ai redditi nazionali. Pertanto tale contributo di solidarietà nazionale è in aggiunta e non deve essere intaccato minimamente dagli altri interventi sia di carattere ordinario che straordinario come ad esempio la Cassa del Mezzogiorno.

Ancora oggi la disputa è ancora aperta! Ma basta capire il perché l’Autonomia della Sicilia è solo cartacea e non reale, come una cambiale non onorata dall’Italia.

Oggi la manovra finanziaria Tremonti sancisce un principio politico ben preciso, la cancellazione del riconoscimento di una questione meridionale e di una questione siciliana che personalmente tengo a precisare e a differenziare. Questo tradotto in soldi significa una accelerazione sul federalismo fiscale, meno trasferimenti agli enti locali, “pertanto l’impatto in Sicilia sarà più pesante che altrovecome chiarisce il presidente della Confindustria Siciliana Ivan Lo Bello sul La Sicilia del 2 giugno 2010 a pagina 3- non perché i tagli saranno maggiori, ma perché i nostri Comuni sono mediamente più indebitati degli altri. Lo Bello sull’abolizione dell’Irap da un giudizio positivo in quanto è ingiusta e grava sulle aziende e grava sul costo del lavoro penalizzando le aziende che hanno più dipendenti e permettono così più occupazione. Ma nella manovra finanziaria non vi è una copertura alle regioni di tale ammanco, dovuto all’abbassamento delle imposte sulle attività produttive. Sergio D’Antoni interviene, sempre nella stessa pagina del quotidiano, asserendo: “Quella che il governo tenta di spacciare come fiscalità di sviluppo, insomma non è altro che un clamoroso scaricabarile sulle regioni meridionali e sulle loro esili finanze.” Lo Bello taglia corto additando l’accusa sul modello politico assistenziale siciliano che “non può più reggere, con molte municipalizzate con grandi debiti, e questo rischia di determinare una implosione sociale ed economica in Sicilia.” Il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo chiarisce, sempre nella stessa pagina del quotidiano, che “E’ una manovra che taglia in due anni undici miliardi di trasferimenti alle Regioni e quattro miliardi agli enti locali. (…) Certo, non potremo accettare tagli indiscriminati, reclameremo il rispetto del nostro Statuto speciale”. Come dire sventoleremo quella cambiale non pagata … sperando che Roma non risponda con una sonora pernacchia! Come si mette, allora, per quei 22.500 sedotti e abbandonati dei precari che lavorano negli enti pubblici?

Lombardo, con la sua maschera impassibile da buon studente salesiano, risponde: “Non è immaginabile che 22.500 persone che da circa due decenni consentono la funzionalità della pubblica amministrazione possano perdere il giusto stipendio.” Dopo avere insaccato l’e assicurazioni del sottosegretario Gianni Letta sull’impegno del governo centrale relativo alla questione del precariato “storico” degli enti locali.

Il Presidente Lombardo ha paura dice nel suo sito personale: Sarà presentato dalla stampa nazionale come l’ennesima truffa della Sicilia ai danni dei lavoratori del Veneto e degli imprenditori della Lombardia.” Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Noi Siciliani sappiamo come è realmente la questione dei 22.500 precari, noi che ogni giorno giriamo gli uffici pubblici, vediamo questi 22.500 precari, cosa fanno, chi sono, parenti di chi e amici di chi, da venti anni … Hanno venduto la loro dignità politica elettorale per il posto, assicurano con il loro elettorato che politicamente in Sicilia non cambierà mai niente. Le assicurazioni di Letta sono una chiara risposta al loro voto. Non me ne abbiano! Qualcuno di loro leggerà questa mia attestazione e non mi saluterà più. Capisco la situazione estrema a livello occupazionale, e un lavoro nel pubblico impiego rappresenta per un Siciliano un punto di arrivo, come uno che sta per annegare e si afferra in uno scoglio, poi, questo qualcuno, che fa? Sale sopra lo scoglio e si gode l’annegamento economico di tutti gli altri Siciliani meno fortunati di lui, o meno “faccia di culo” di lui. Pertanto mi sta bene che non mi saluti! Sembra una guerra tra poveri? no! È solo una questione politica.

I 22.500 precari storici in questi giorni si sentivano sedotti da venti anni e poi tutto ad un tratto abbandonati, ma in cuor loro sapevano come andava a finire, come da ventanni.

I veri, autentici, abbandonati, sono coloro che non si sono mai fatti sedurre dalla politica partitica italiana, quei Siciliani che vivono di stenti, che subiscono, non la precarietà, ma uno stato d’illegalità per una Autonomia tradita, ai quali nessuno assicura niente, né a Roma né a Palermo!

Mi rivolgo a questi Siciliani, i quali credono di vivere come Italiani, di prendere coscienza politica del loro stato di colonizzati e reagire al loro torpore prima che sia troppo tardi e la mano del maresciallo di Sedotta e abbandonata non preme così tanto da sommergere la Sicilia affondandola definitivamente,  a dispetto di Colapisci ancora giù a sorreggere, annegandoci tutti. La stessa mano che ha premuto altri pulsanti causando altri danni, uccidendo altri Colapisci che credevano con le loro forze di salvare la Sicilia dalla mafia.

Voglio concludere con una nota positiva, di speranza. In questi giorni ho avuto l’immenso piacere di leggere un libro comprato da mio figlio Federico e trovandolo ne gustai la freschezza. Si tratta di IL CORPO SA TUTTO di Banana Yoshimoto – Giacomo Feltrinelli Editore – Milano – Febbraio 2008. Oltre la bellezza di leggere un autentico pensiero femminile disinibito che accresce la vera conoscenza di ognuno, provo un grande piacere dalle prime pagine e una grandissima simpatia, quando nella novella I FIORI E IL TEMPORALE a pagina 89 leggo: “Quanto sento la parola “felicità” mi torna sempre in mente una scena. Sotto il cielo limpido si vede in lontananza l’albergo dove alloggia il nostro gruppetto di cinque amici. Si vedono i balconi delle nostre stanze. E se mi volto indietro, sulla collina che ci siamo lasciati alle spalle si ergono le gigantesche colonne del tempio che abbiamo visitato in lungo e in largo sino a poco fa. (…) La luce del sole cominciava appena a declinare verso occidente, tinta d’oro,(…). Lungo il viottolo si vedevano fiori da ogni parte. Erano quasi tutti gialli, ma qui e la si mischiavano anche fiori rosa e fiori bianchi. I rami contorti degli ulivi erano pieni di foglie asciutte di un bel verde. Inondate dalla luce, tutte le piante liberavano nel cielo i loro colori più veri e smaglianti. Circondate da quei fiori alti, le figure di quei due miei (pagina 90) amati amici ogni tanto sembravano scomparire, poi subito riapparivano di nuovo in mezzo a quei meravigliosi colori. Ma non sarà il paradiso, questo? Mi chiesi in mezzo a quell’abbagliante profusione di colori. La Sicilia è piena di ladri! Portate i vestiti peggiori che avete, non portate con voi borse, mettete tutto nei sacchetti tipo quelli del supermarket, ma anche così è probabile che sarete derubati lo stesso … Terrorizzata da avvertimenti come questi, salii tutta spaventata sull’aereo per la Sicilia, e quando scesi all’aeroporto per prima cosa mi misi la borsa a tracolla, e mi sfilai l’anello. Eppure, avvertii qualcosa di diverso. In confronto a Roma, dove ero già stata, l’atmosfera era più aperta e calda. Una luce morbida e forte scendeva dal cielo azzurro incredibile. Le montagne in lontananza ricevevano il colore arancio del sole e splendevano di una tinta dolce e delicata che non avevo visto al mondo. Lungo la strada ci trovammo improvvisamente in un ingorgo: tutti, impazienti di tornare a casa, suonavano i clacson. Ma ciò nonostante c’era qualcosa di molto dolce. Una felicità che si sprigionava dalla terra, una forza che si sentiva nell’aria. Le persone che vivevano lì amavano quel posto e ne erano riamate, era la sensazione che percepivo, come di una speciale, gigantesca luna di miele. Non solo non c’erano ladri, (…) Qui ricchi e poveri, vecchi e giovani si fondano tutti in una felice armonia, (…).(pagina 91) Avrei voluto fermarmi per sempre in questo mondo dai colori felici.”

Alphonse Doria