Vecchio BDS, addio

Dell’istituto di credito tra i maggiori d’Italia, tra poco scomparirà anche il nome.
Soppresse antiche filiali, dipendenti in esubero: il sindacato è sotto accusa


Il forte si mesce col vinto nemico, col novo signore rimane l’antico; l’un popolo o l’altro sul collo vi sta; dividon i servi dividon gli armenti sui campi cruenti di un volgo disperso che nome non ha.

Il passo dell’Adelchi sembra descrivere alla perfezione l’atteggiamento che spesso i siciliani hanno tenuto davanti alle “calate” degli stranieri arrivati nell’Isola, nel corso degli anni, in cerca di un bottino, più o meno ricco. Svevi e valtellinesi, normanni e vicentini, arabi e milanesi, aragonesi e romani, nessuna differenza. Nella politica come nell’economia.


Emblematica è la storia del Banco di Sicilia, sotto attacco fin dai tempi dell’Unità d’Italia, da quando, cioè, la banca siciliana, istituto di emissione e zecca, venne scissa in due. Svilita e svuotata. Con quel complice silenzio dei siciliani di manzoniana memoria. Un destino che s’è ripetuto fino ai giorni nostri. Prima con Capitalia, poi con Unicredit. Operazioni che si sono svolte all’insegna di un silenzio assordante della classe politica e con copiose “lacrime di coccodrillo” dei sindacati bancari, che prima hanno firmato gli accordi e poi, come in una sorta di farsa, hanno gridato al ladro.

È proprio quello che sta succedendo in questi giorni. La cronaca dell’ultima settimana riporta infatti le dichiarazioni al vetriolo dei sindacalisti che denunciano discriminazioni a carico dei dipendenti del Bds e il ridimensionamento operativo di quell’istituto di credito che, dopo “Cosa nostra spa”, era la più grande azienda dell’Isola. Peccato che gli accordi base siano stati firmati ormai da mesi. Da management e sindacati insieme, allegramente. Il caso più eclatante è rappresentato dall’accordo sul piano-esuberi, che oltre ogni logica sindacale e oltre il comune buon senso, i sindacalisti hanno firmato lo scorso 3 agosto, prima della definizione del piano industriale. Ovvero quel documento che, attraverso un’analisi attenta dello stato di salute di un’azienda e dei suoi obiettivi, porta anche alla definizione di eventuali esuberi. Nel caso del Sicilbanco invece si è privilegiato il percorso contrario. Prima gli esuberi, poi si vedrà. Insomma è come se un medico prescrivesse una cura a un malato senza prima averlo visitato. E così a fine agosto 1.500 dipendenti dell’istituto di credito hanno ricevuto una lettera con la quale la direzione delle risorse umane del nuovo colosso bancario da 100 miliardi di euro, nato dall’incorporazione di Capitalia in Unicredit, li sollecitava ad aderire al Fondo esuberi Abi o al prepensionamento. I termini dell’adesione sono scaduti il 16 novembre e gli aderenti dorrebbero essere circa un migliaio. Non hanno scelta. E la storia si ripete.

Basti pensare che, negli anni Novanta i dipendenti del Banco erano 15 mila. Oggi sono 6.500. Cifra che sta per essere ulteriormente sfoltita fino ad arrivare a 4.800. Tra il silenzio generale. E con i complimenti di Alessandro Profumo che, in occasione dell’integration day di fine settembre, ha lodato i sindacalisti per la collaborazione ricevuta. Il management insomma ringrazia pubblicamente i sindacati per avergli reso tutto più facile. E presumibilmente la classe politica per non avere fiatato dinnanzi all’ultimo colpo mortale inferto al Bds, ridotto ormai a una rete retail. Ovvero sportelli dove potere effettuare versamenti e pagare bollette. Mentre attraverso lo scorporo del corporate e del private il Banco ha ceduto, con grande generosità e tra sorrisi vari, il 40% del proprio volume d’affari. L’alibi ufficiale è che in un’economia globalizzata le banche regionali non hanno speranze. A parte il fatto che il Bds non è mai stato una piccola banca, c’è da dire che nessun teorema sulla globalizzazione presuppone la mortificazione degli interessi locali. La Sicilia, come ogni regione moderna, necessiterebbe del suo “glocalism”, ovvero di un’occhio al mercato globale senza però mortificare il localismo. Un concetto, a quanto pare, estraneo a politici e sindacalisti che oggi sorridono a Profumo, come ieri a Geronzi. Né ha senso sostenere, come qualcuno fa, che prima delle operazioni Capitalia e Unicredit il Banco fosse alla mercè dei politici.

Altro caso eclatante, la cancellazione della Cassa assistenza del Bds, un fondo previdenziale da 1,8 milioni di fatturato. L’accordo di fusione delle due holding firmato a settembre ne prevede, all’articolo 10, la soppressione entro la fine del 2008. «Parificazione economica tra i dipendenti del gruppo», si legge nelle motivazioni.

Sempre a scoppio ritardato e quindi solo nelle ultime settimane, i sindacati si accorgono che sul tema della previdenza, delle agevolazioni e degli inquadramenti, i dipendenti del Banco, vengono discriminati e le relazioni industriali ridimensionate, nonostante i risultati eccellenti degli ultimi anni. Ma si sa, il popolo siciliano è molto generoso e dà senza nulla chiedere in cambio. Minaccia scioperi, ma è solo per dire. Anzi, quasi si scusa. Come quando, con l’aiuto dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, Capitalia ha fagocitato il Bds, facendo quasi apparire l’operazione come un favore concesso ai siciliani, dati i conti in rosso dell’istituto di credito. Magie nella redazione del bilancio, perché a microfoni spenti, tutti ammettono che il Bds non era affatto in sofferenza, ma che, nei fatti, ha risolto i problemi di altre banche che di debiti, invece, ne avevano in abbondanza.

Ancora in questi giorni sono in corso le trattative sui dipendenti di “Capitalia Solutions” e “Capitalia Informatica”. Le previsioni danno nuvole nere e un uso estremamente elastico dell’istituto del distacco. Un’interpretazione originale del articolo 2112 del codice civile e della legge 428 che prevede il distacco solo per periodi limitati e in casi eccezionali. Ma forse i sindacalisti e i politici non ricordano bene che cosa preveda la legge. Capita.
Infine, la vendita degli sportelli, come imposto dall’Antitrust.

In barba a tutte le dichiarazione di salvaguardia della territorialità del Banco, Unicredit sta procedendo alla vendita indiscriminata di sportelli Bds che spariranno da certe piazze storiche. In tutto sono 55 le filiali in vendita in Sicilia. Ventisei solo nel Palermitano. Tradotto vuol dire che sulle Madonie il marchio Bds non esisterà più. Altre 131 saranno cedute nel Catanese, otto nel Messinese e sei nell’Agrigentino. Il pacchetto cessioni include anche l’antica filiale di Termini Imerese, riferimento storico per l’economia locale. L’Antitrust si è pronunciata due mesi fa. Non è difficile fare i conti sui livelli di raccolta delle singole filiali. E non sarebbe stato difficile trovare alternative allo smantellamento del Banco nel territorio madonita.
Ma i sindacati se ne accorgono solo ora: «In alcuni comuni scomparirà il marchio del Bds facendo venire meno il ruolo sociale della banca; questo è l’ultimo atto dello smantellamento del Banco», hanno scritto una settimana fa in una nota congiunta. Meglio tardi che mai. O no?

Antonella Sferrazza

Palermo, 16 novembre 2007