Risorse siciliane in ”svendita globale”
Un altro pezzo di Sicilia va ad arricchire casse straniere. Giunge infatti la notizia che la multinazionale Nestlè ha raggiunto un accordo per lo sfruttamento delle sorgenti acquifere di Santo Stefano di Quisquina.
Tali sorgenti da molti anni sono sfruttate dalla Società Monti Sicani di Lercara Friddi (il paese natale del grande leader indipendentista Andrea Finocchiaro Aprile) che ne ha imbottigliato le acque commercializzandole nella “provincia” di Agrigento e in altre zone della Sicilia.
Uno sfruttamento, come quello di tutte le sorgenti di acque demaniali, dai costi irrisori, che causa quindi un debole ritorno economico alla collettività. Un affare d’oro per la Nestlé, notoriamente poco attenta ai diritti delle popolazioni sulle quali incide il proprio business.
Infatti, pur mantenendo il precedente assetto occupazionale, questo accordo probabilmente porterà la quasi totale sparizione dell’acqua “Santa Rosalia” dai negozi siciliani, ai quali si preferisce imporre prodotti di importazione (anche e soprattutto italiana) a basso costo. Proprio perché i siciliani rappresentano un ampio mercato di assorbimento del surplus italiano e globale, a basso costo e bassa qualità, con la caratteristica, in barba al fordismo, di essere quasi del tutto improduttivo.
Perché, questo va ribadito con forza, la colonizzazione italiana ha fatto dei Siciliani dei consumatori compulsivi che non producono.
E come, del resto, potrebbero produrre, con il progressivo (ed ormai totale, vista la ormai definitiva sparizione del Banco di Sicilia, già divenuto italiano grazie anche e soprattutto all’immobilismo della Regione Siciliana, ed in questi giorni destinato a sparire lasciandone forse il solo marchio come “specchietto per le allodole siciliane” al pari di altri) smantellamento del sistema bancario siciliano, che della Sicilia era e avrebbe dovuto continuare ad essere il volano economico?
Oggi le banche italiane in Sicilia per consentire la sopravvivenza dei pochi piccoli imprenditori e commercianti, oltre che di una massa di famiglia siciliane in gravi difficoltà, sta mettendo gli artigli su quanto si possa avere di più importante: il piccolo patrimonio immobiliare, le case.
Tolteci quelle, ci rimarranno le valigie: non più di cartone, ma prodotte in Cina in condizioni di schiavitù, ed importate e vendute ad altri schiavi.
Gli schiavi degli Italiani: i Siciliani.
Che non hanno l’acqua corrente e potabile in casa, pur essendo la Sicilia una miniera d’acqua: si sono forse dimenticati i politici italiani e quelli siciliani traditori, nei loro vaneggiamenti imperial-risorgimentalistici il “granaio di Roma”, che peraltro significò l’inizio del disboscamento di massa della Sicilia, che dovrebbe una volta per tutte essere invertito per migliorare il clima come anche la situazione idrica?
Le sorgenti di contrada Margimuto ufficialmente servono per fornire acque a dieci comuni girgentani. Ma le condotte idriche, pur mescolandole con acque di diga e di mare, nei rubinetti non portano nemmeno una goccia. La classe politica dominante si tiene ben lontana, ed anzi ha allontanato quanti lo hanno proposto o tentato, dal ricostruire il sistema di distribuzione idrica. Perché ciò significherebbe togliere sofferenze ai Siciliani, e dare loro la libertà dal clientelismo, dall’assistenzialismo, la libertà di scegliere ed agire…per la libertà.
Invece, tutti a soffrire la sete e la disoccupazione: ENI, Tecnital, Marketing Sud, Conad, Coem, RFI, Istituto Bellini di Catania, Cesame, alcune delle decine e decine di sigle ed enti i cui dipendenti siciliani hanno il posto di lavoro a rischio, o non ce l’hanno più.
Caso esemplare è la Birra Messina: glorioso marchio che per decenni, davanti ad una bottiglia di birra, ha ricordato ai Siciliani di essere figli della Trinakria, è stata progressivamente smantellata e atrofizzata da un’altra multinazionale, la Heineken.
Oggi la Birra Messina si distribuisce quasi solo in “provincia” di Messina, non si produce più in Sicilia, e lo stabilimento di Messina sta per chiudere.
«Una Paese non è un Paese se non ha una compagnia aerea e una birra» diceva Frank Zappa: la Sicilia, oltre all’indipendenza, ha perso anche le sue banche, le sue società pubbliche, le sue industrie, la sua compagnia aerea, l’Air Sicilia (oggi esiste la WindJet, che però non usa un nome riconducibile alla Nazione Siciliana), e sta per perdere definitivamente la sua birra. Forse proprio dalla birra possiamo iniziare l’inversione di tendenza: il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia si batterà, accanto ai lavoratori dello stabilimento di Messina e di tutti i Siciliani, perché la Birra Messina non scompaia, anzi riprenda ad essere prodotta e distribuita in tutta la Sicilia.
La possibilità concreta c’è: la famiglia Faranda, siciliani che fanno impresa e producono in Sicilia, sono interessati all’acquisto del marchio e dello stabilimento. È assolutamente necessario che ciò si concretizzi: si segua l’esempio della birreria Pedavena, salvata dalla chiusura dai dipendenti e dalla gente comune.
I Faranda, peraltro, lavorano proprio con le acque minerali: segno che questo business si può effettuare anche in Sicilia, ad opera di Siciliani, in maniera sostenibile, equa e solidale.
Si ponga quindi fine a questa vergognosa svendita globale, globalizzante e colonizzatrice della Sicilia e delle sue risorse, non ci siano più storie come quella del Banco di Sicilia, delle acque siciliane che non si possono privatizzare e svendere agli stranieri, del Val di Noto regalato alle trivellazioni della Panther. La Sicilia, con tutte le sue risorse, torni ai Siciliani, e a questi ne torni il governo, la sovranità, l’indipendenza.
Catania,23 Maju 2007
A cura dell’Ufficio Stampa, Comunicazione e Propaganda del M.I.S.
Movimento per l’Indipendenza della Sicilia