Sicilia: mennuli ciuruti e mari funnuti
Una leggenda tutta regnicola tratta della “Terra al di là del Faro” attraverso le mitiche imprese di tal Cola Pesce che – con il “munaciello”, la “bella ‘Mbriana”, la “Janara”, il Pulcinella ed altre figure leggendarie del Meridione, condivide l’antica storia delle piccole patrie del Regno delle Due Sicilie.
Cola – o, Nicola – era detto Pesce o bambino-pesce, perché già dalla sua nascita sul litorale partenopeo, dimostrava d’essere un figlio del Mare. L’acqua del mare nostrum era il suo habitat naturale ed egli vi trascorreva in ammollo i buoni tre quarti di ogni dì. Conosceva e comunicava con tutte le creature degli abissi, era un nuotatore abilissimo e velocissimo in grado di compiere molte miglia marine, da un estremo all’altro del Mediterraneo e del Tirreno – andata e ritorno – in una giornata. Resisteva a incredibili apnee, a profondità ancora più incredibili, alla ricerca di rarità e di tesori sommersi che mostrava agli uomini sulla terraferma. Il Re delle Due Sicilie, incuriosito oltremisura dalle voci di popolo che magnificavano le imprese di Cola Pesce, volle un giorno metterlo alla prova. Si presentò sulla spiaggia di Santa Lucia, luogo deputato del piccolo eroe del mare, e gli chiese di andare per suo conto a curiosare nei profondi abissi della Sicilia insulare. Cola, si tuffò all’istante e velocemente raggiunse la Terra al di là del Faro, inabissandosi nei suoi più profondi anfratti. In serata, rientrò presso il suo Re raccontandogli meraviglie di quei fondali e di quella Terra ma soprattutto la stranezza che la Sicilia fosse un’isola sostenuta da tre pilastri, dei quali uno spezzato!
La Sicilia può dirsi patria delle patrie, perchè è stata fenicia, greca, romana, bizantina, araba, normanna, francese, spagnola, duosiciliana, italiana. Ognuna di queste ere e di queste civiltà ha impresso indelebilmente i suoi segni nel carattere della Trinacria; carattere ch’è magnificato soprattutto nell’arte e nella gastronomia, laddove – e, pochi lo sanno – il primo trattato di gastronomia al mondo fu vergato proprio in Sicilia nel quarto secolo a.C. da Archéstrato da Gela e, per quanto riguarda l’arte e l’artigianato – in particolare, riferite all’arte della ceramica – sin dal neolitico se ne trovano testimonianze, anche se l’affermarsi di un’arte ceramista vera e propria ebbe gran respiro nell’epoca normanna-sveva. Ma è anche importante sapere che il primo dizionario della lingua italiana, pubblicato a Firenze nel 1500, fu scritto dall’agrigentino Niccolò Vella.
Arte e Cultura sono figlie di Trinacria, dove per Cultura s’intende la Lingua, il Pensiero e la Tavola. A riguardo del “Pensiero” e della Filosofia, il siciliano classico è autarchico e con humor sottile, simile a quello hyddish, suole affermare che se è vero che il Pensiero ha avuto origine in un primo uomo – Abramo – sicuramente nel triangolo magico isolano deve essere accaduto un gran cataclisma o un fenomeno naturale di vaste proporzioni per cui la Sicilia ha partorito improvvisamente –e, precocemente rispetto all’evoluzione di altri popoli della terra – uomini dal pensiero rivoluzionario; altrove – tanto per dire,…al Nord – ancora oggi questo Pensiero non è stato perfezionato. Un esempio? L’eroe Empedocle, che anticipò di migliaia d’anni le teorie che furono care (e che resero celebre) il contemporaneo Nietzche circa il dramma umano; ma Nietzche pagò eroicamente le sue idee ancora non esaustive distruggendosi la salute psichica, impazzendo, mentre Empedocle offrì tenacemente la propria vita, suicidandosi, decretando il compimento e la soluzione finale del suo rivoluzionario Pensiero.
E, comunque, il siciliano autarchico non ha tutti i torti nel ritenersi “intellettuale” , nel senso più vero del termine, se pensiamo che quattromila anni fa, mentre al Nord si lanciavano da un ramo all’altro della Grande Quercia, da noi nasceva la Civiltà della Magna Grecia.
Del resto, storicamente (non ce ne voglia il “druido” Bossi) anche i primi secessionisti sono stati siciliani e, per contro, dovunque sia stato deportato, esiliato o sia forzosamente emigrato ( in tutte le ere) il siciliano si è portato sempre dietro e “dentro” l’isola perché – è vero l’assunto – il siciliano è di per sé, nel carattere, un’isola egli stesso, ragion per cui lo svilente luogo comune circa l’Omertà ed il celebre refrain delle tre note scimmiette “Non Vedo Non Sento Non Parlo” è retaggio populista ammannito in tutto il mondo, esattamente come le menzogne storiche risorgimentali che vogliono ancor oggi gli abruzzesi tutti briganti, i napoletani tutti mariuòli, i calabresi tutti testoni, i pugliesi tutti opportunisti, ergo…i siciliani tutti mafiosi!….
Servirà mai a qualcosa ricordare che l’antica Trinacria, patria dei Sileni divenuta quindi Sicilia, patria dei Sicani è quel territorio italiano che ospita il maggior numero di miti storici e che ha scritto le più numerose pagine della Storia Europea? La Mafia è solamente un aspetto della storia più recente della Sicilia ma NON E’ LA STORIA DELLA SICILIA! Infatti, basta fare il parallelo tra i due più famosi “sbarchi” in Sicilia, per rilevarne la presenza; sia lo sbarco dei Mille quanto quello “Alleato” della (si spera) ultima guerra mondiale sembrano rispettare lo stesso copione pur se con diversa potenza bellica e, ambedue, sono stati possibili grazie alla cooperazione della Mafia, fenomeno moderno che – certamente – ai tempi di Federico II, non a caso detto Stupor Mundi, non esisteva ancora. Ma qui il discorso si farebbe molto lungo… perché è molto lunga da raccontare TUTTA la storia della Sicilia.
Il luogo del mitologico ratto di Core o Persefone, dal tempo di quei tempi, è stato ambientato in Sicilia, come pure i luoghi abitati dalle ninfe che dettero origine e nome alle sorgenti di Ciane e di Aretusa, per non parlare di Diana e Artemide e, via via, delle loro trasmutazioni epocali, al passo con le nuove ere e le nuove culture. Per secoli! In breve, da Morgantina, una delle città greche più antiche di Sicilia e fino alle rovine della Fortezza di Messina, il libro di pietra della Civiltà Mediterranea, è ancora tutto da leggere ma la saggezza popolare sottolinea che “ dunni c’è vista nun ci voli prova”.
La prerogativa della Sicilia è la Luce; per molti versi è una luce talmente intensa che a volte acceca (soprattutto i delatori del Sud ed i razzisti di stampo lombrosiano ) e finisce col precipitare nelle tenebre dell’ignoranza e della negazione questa Patria che fu detta da Stupor Mundi “Regno del Sole”, quello Stato fondato da Ruggero II d’Altavilla nel 1130, nato a Palermo più di 870 anni fa e presente con i suoi simboli storici nella nostra bella e gloriosa bandiera del Sud, in quello stemma “borbonico” (poiché i Borbone sono stati i legittimi successori di Stupor Mundi) che è il DNA stesso della nostra patria duosiciliana e del nostro popolo. E, il rosso e il giallo del fuoco e del sole di Sicilia fanno opportunamente da sfondo a tutti i vessilli di tutte le province del Sud.
Ponte sì ponte no…anche senza ponte e con uno dei tre pilastri su cui poggia, spezzato, la Sicilia è sempre riuscita, nei millenni, a collegarsi alla terraferma e ad esportare e diffondere la sua vasta cultura, i suoi prodotti, il suo genio. La cultura del Mare, con le attività marinare e marittime, è stata quel “ponte” di collegamento, da sempre ; un ponte – come quello storico sul Garigliano – distrutto dalla continentalizzazione – quasi, una primitiva riminizzazione – provocata dall’Unità d’Italia, che ha privato tutto il Sud ovvero quella terra che confinava con “l’Acqua Santa e l’Acqua Salata” ( come ripeteva orgoglioso Ferdinando II di Borbone ) delle sue naturali peculiarità, possibilità e ricchezze. In fondo, anche i famosi fasci siciliani all’inizio del ‘900, altro non furono che protesta contro il nuovo stile di vita “continentalizzato” che i siciliani, per natura, non potevano assolutamente accettare, stante la naturale, atavica, isolanità ch’è ben più che una caratteristica geografica; è – come detto sopra – un irrinunciabile e prezioso elemento del carattere e dello spirito siculo. Un modo di essere, di ESISTERE !
Bisbetici ed indomabili, i siciliani hanno subito durissime repressioni ed hanno pagato con un alto tributo di sangue la loro fierezza reazionaria, con il solo onore di essere morti “in piedi”; per gli altri, risparmiati dalla falce della “signora in nero”, la dignità e l’orgoglio gli han vietato di sottomettersi agli invasori e di prestare loro qualsivoglia giuramento di fedeltà : hanno scelto la via dell’emigrazione, autoconfinandosi nelle lontane terre degli U.S. e del Sudamerica, in Australia, ed anche in Africa e nel Nord Europa. Soprattutto per loro è valso il motto “O Briganti o Emigranti”! Ed è alla luce di queste considerazioni che sottintendono la fierezza del siciliano che – scevri dal giudicare politicamente anche i fatti del triennio 1943/46 – si possono meglio giustificare le “originali” e “spettacolari” insorgenze degli indipendentisti isolani che, se nel 1860 furono definiti BRIGANTI; immediatamente dopo il 1943 furono definiti BANDITI. (cnfr. I PRIMI SECESSIONISTI – Mario Spataro – Controcorrente ed.)
“ Cu passò, Casa Savoia?” è un modo di dire prettamente siculo, sin dagli inizi del 1700, per sottolineare eventi disastrosi dovuti alla jattura; così come a Napoli, per esempio, è sintomatico dire “E’ succieso ‘o quarantotto!”, per descrivere eventi molto turbolenti di qualsiasi natura. Sì è che nel 1713, all’ingresso in Sicilia di un “visitor” sabaudo, Vittorio Amedeo di Savoia, al cui corteo faceva strada una pletora di valletti che scandiva le celebri grida : “Passa Savoia…Passa Savoia”, seguì una terribile carestia e pestilenza. Così, i siciliani non poterono esimersi dal considerare jettatori e malefici i Savoia e…quell’intuito arcano – la storia ha poi dimostrato ampiamente – fu quantomai profetico, ad ogni passaggio di Casa Savoia sulla Terra al di là del Faro, acclarandone la singolare virtù di apportatrice di sfortuna, sventura e distruzione.
I ne-Fasti di Casa Savoia celebrati in Sicilia sono innumerevoli. Basterà qui ricordarne solo due : Bronte e Palermo, 1860/1866, sustanziati dai due seguenti versi popolari siciliani anch’essi divenuti celebri come il “Passo’ Casa Savoia” : “ Con una canna in mano rimase la Sicilia/il bel regno è finito a gambe all’aria/Oro e argento si sciolsero in aria/di carta l’han vestita la Sicilia” che alludeva alla confisca ed al trafugamento delle casse pesanti di lire-oro di tutto il Regno, convertite in cartacei biglietti fiduciari (che restarono in vigore fino al 1875) e, l’altro detto : “Ai tempi antichi arrubbava unu sulu/ora nni vannu cincucentu ‘n culu! “, sottolineando nel decennio immediatamente successivo all’Unità la corruzione selvaggia del Governo del regno d’Italia. (cnfr, LA STORIA PROIBITA – AA.VV. – Controcorrente ed.)
Anche a Bronte, come in molte località del Regno delle Due Sicilie, i “cafoni” ovvero i lavoratori della terra avevano creduto alle bugie garibaldine circa l’assegnazione di moggi di terra ai più poveri, sfruttati fino ad allora – in barba alle buone leggi borboniche sui Demani ed gli Usi Civici- dai massari delle baronie (ecco, i mafiosi!) ; quelle stesse baronie che tradirono il loro Re e la loro Bandiera, proprio per punire il re per la protezione paternalista che accordava ai più poveri ed emarginati, ai “bifolchi”, concedendo in uso terreni demaniali che confinanavano con i Feudi baronali e sui quali, ovviamente, questi ultimi con arroganza sconfinavano, aggredendo ed estorcendo…… Ma Bronte era anche nota come la Ducea inglese di Nelson – un feudo di circa 25.000 ettari donata da S.M. Ferdinando I all’ammiraglio, quale ricompensa per il concreto aiuto da questi fornitogli durante la repressione dei moti repubblicani del 1799… ed è ovvio che l’invasione piemontarda delle Due Sicilie, sostenuta con i soldi della Massoneria Inglese ( sbarco dei mille compreso ) tenesse in buon conto la protezione degli inglesi e delle loro proprietà sul suolo regnicolo, per cui lo stesso Garibaldi si premurò di inviare ben due battaglioni di cacciatori, al comando dello spietato Bixio, per reprimere le prime insurrezioni dei bifolchi contro i “massari” del luogo, in attesa dell’avverarsi delle promesse di Garibaldi……. Ci fu, tra i bifolchi, chi vedendo entrare Bixio pensò di essere davvero vicino alla liberazione ed alla giustizia ma ben presto, i villici, si resero conto d’essere stati nuovamente traditi, imbrogliati…ed ora, si trovavano definitivamente in trappola. I sentimenti e la cronaca di quei martiri di allora sono stati ben evidenziati in un noto film di Florestano Vancini “Bronte, cronaca di un massacro di cui non parlano i libri di scuola” ed anche dal celebre meridionalista Angelo Manna nella sua opera tragica in sonetti “Care Paisane” . La repressione di Bixio fu feroce e spropositata e costò molte vittime, tra notabili e reazionari, compreso un insano di mente, dopo un processo farsa, una fucilazione di massa con i cadaveri lasciati esposti, insepolti, a futuro monito, dopo una razzia delle casse ed un centinaio di prigionieri presi a caso tra la popolazione e portati via. Fu con Bronte che cadde il mito garibaldino e che fu resa nota la vera identità degli invasori che s’erano spacciati per “liberatori”……… Fu con Bronte che la Sicilia ritrovò se stessa e la forza di ribellarsi e numerosi altri cruenti e feroci episodi designarono quella che era divenuta ormai vera guerra di rivolta e che sfociò nel 1866 con i moti di Palermo, dove l’aguzzino Raffaele Cadorna, fece in un solo giorno duemila vittime e più di 3.600 prigionieri, tra cui il “noto brigante d’Acquisto” che altri non era che il novantenne vescovo di Monreale Benedetto d’Acquisto!!!!!! Si commenta da sé.
Ad ogni repressione di stampo sabaudo – è bene ricordarlo – seguiva sempre il saccheggio e la spoliazione soprattutto delle Chiese, dei Conventi e dei Monasteri. I prelati erano visti come reazionari ed a loro, a Palermo, fu anche proibito di indossare le vesti talari……..( cnfr. DUE SICILIE 1830/1880 Antonio Pagano- Capone editore)
Certo, ci si stringe il cuore se pensiamo che la toponomastica di quasi tutti i centri della Sicilia e del Sud intero, inneggia ai nostri aguzzini piuttostochè a coloro che ci nobilitarono sin dall’antichità ma abbiam fede nella classe dirigente del futuro – che sarà più consapevole e preparata e meno imbibita di menzogna risorgimentale – e che ripristinerà l’orgoglio e l’identità siciliana, sotto l’egida di quel glifo ottopetalo, simbolo di Stupor Mundi; quel Federico II che dimorava nella Torre Pisana del Palazzo dei Normanni, dove ora siede il presidente di turno dell’Assemblea Regionale Siciliana. Se è vero che i luoghi si impregnano delle energie sottili di chi vi ha dimorato, noi speriamo vivamente che i “notabili” siciliani facciano “il pieno” di queste energie!
Ma vi starete ancora chiedendo “Perché, TRINACRIA ? “.. Perché sin dall’antichità, dai tempi dei Saraceni – come spiega il prof. Massimo Costa dell’Università degli Studi di Palermo – l’unica divisione amministrativa più teorica che pratica, era quella della divisione dei confini negli storici Tre Valli; oggi la cartina geopolitica della Sicilia, prevede nove province regionali, sullo schema di divisione amministrativa erede diretta delle province o valli borbonici che però ricalcavano la suddivisione geopolitica comunque nella Val Demone, nella Val di Mazara e nella Val di Noto.
Ed il simbolo talismanico di Trinacria detta anche Triscele o Trichetria è stato, nei secoli, esportato un po’ dovunque; soprattutto al Nord, nell’isola di Man, probabilmente da quegli stessi Normanni che vi arrivarono dalla Sicilia nel secolo XI, ragion per cui, su molti blasoni di famiglie nobili del Nord – per esempio, degli Stuart d’Albany – si ritrova il simbolo della Trinacria (dalla rivista “L’ISOLA” n. 2/anno V – Bruxelles). Ma ritroviamo lo stesso simbolo anche nell’arma dei Drocomir di Polonia, dei Rabensteiner di Franconia, degli Schanke di Danimarca.
“Mennuli ciuruti e mari funnuti”, per descrivere poeticamente la ricchezza dell’agricoltura e della pesca di quest’isola che si bagna in un mare di Luce vivificante, riflessa dai gialli, gli aranci ed i rossi dei frutti partoriti dal fertile suolo lavico, dalle potenti energie ctonie, del fuoco e del sole, in un’abbondanza e qualità organolettiche uniche di frutta, ortaggi, legumi, erbe, grani, semi e spezie, in un trionfo gastronomico di sapori, aromi e profumi dal carattere forte com’è forte il carattere di Sicilia! Nei mari funnuti la grazia di Dio equivale all’abbondanza ed alla varietà delle specie ittiche, difficili da reperire in altri mari italiani, come, per esempio, nel caso della CERNIA che qui raggiunge dimensioni notevoli poiché essendo una specie di profondità trova nei fondali trinacrii il suo habitat ideale o nel caso dei TONNI e dei PESCI SPADA che sulle rotte delle stagionali migrazioni si trovano a passare per i canali e le correnti che lambiscono questa terra, insediata al crocevia delle rotte migratorie medesime. Se poi si pensa che in molti piccoli comuni siciliani, provvisti ancora di pozzi neri, i pescatori hanno l’obbligo di pulire direttamente a mare il pesce pescato, per quel naturale ciclo biologico che vale tanto sulla terra quanto nell’acqua, le specie ittiche trovano ancor più ricchezza di cibo che ne aumenta la stanzialità quindi la proliferazione.
Un discorso a parte merita il vino. Se per gli antichi greci Enotria era chiamata la Calabria, se poi il primato enologico passò a Campania Felix, quei vini di Sicilia che un tempo venivano utilizzati solo per tagliare vini deboli di altre regioni italiane, oggi imbottigliati, riscuotono ampi consensi sui mercati nazionali ed internazionali, rendendo la produzione enologica siciliana un punto di forza dell’economia, laddove alcuni vini si sono anche meritati premi e riconoscimenti internazionali in vari Saloni tematici tra i più importanti, compreso quello di Torino. Specialità tipiche a denominazione di origine controllata, come il Bianco d’Alcamo o il rosso Terre di Ginestra, sono anche i vini dolci fruttati, passiti e mandorlati , marsala, zibibbo, moscato e malvasia, tra i più noti e che sin dai tempi dei Borbone – nella zona del trapanese soprattutto – erano divenuti prodotti di esportazione degli imprenditori inglesi colà stanziati, insieme ai tessuti (Inghram, quello famoso ancora oggi per le camicie, celebrò i suoi albori imprenditoriali in Sicilia, nell’ottocento).
Il pistacchio, d’importazione araba, insieme al mandorlo, al carrubo, al sesamo e al cedro è alla base di molte specialità dolciarie della Sicilia, la cui produzione pasticcera risente molto dell’influsso arabo . Cassate di ricotta, “mustazzola” ovvero pasticceria secca preparata con miele e mandorle, i celebri “dolci di riposto” così detti per via del fatto di essere stipati nelle credenze, i marzapane ed i mandorlati, la pasta di mandorle, la “ghigghiulena” ch’è un torrone di sesamo, i nucatoli, i “pastizzi” ed i “pastieri” anche salati come la “palummedda cu l’ova” ed anche la famosa cioccolata di Modica, prelibatezza rara preparata secondo la ricetta tradizionale della dominazione spagnola in quella ch’era chiamata la Contea Modicana. Non a caso, la prestigiosa rivista italiana con redazioni a N.Y ed a Mosca “Luxury”, presente ogni anno al Salone internazionale del Lusso ha dedicato un ricco inserto alla Sicilia, soprattutto alla sua gastronomia e, della famosa cioccolata di Modica e DI altre bontà così ci dice :” Ogni panetto di forma squadrata, è aromatizzato con vaniglia o cannella. Anche la carruba, coltivata in particolare nel territorio di Modica sin dai tempi dei Greci è utilizzata per preparare dolci, marmellate, farine, aromi, glasse, sciroppi, gelatine, oltre ad avere proprietà balsamiche… Pennette, paste dolci, torte e gelati sono solo alcune delle delizie preparate col pistacchio…. Molte ricette dell’isola, quali il cous cous alla trapanese, la cassata siciliana e la granita, che sono prettamente di ispirazione araba, hanno gusti e aromi orientali…”
Ma anche i prodotti della pastorizia sono ineguagliabili ed alcuni formaggi e ricotte godono della denominazioni d.o.c.. , come il canestrato, la scacciata, il primo sale, la provola e la tuma.
Spezie, olive, capperi e ortaggi trionfano in mille profumate preparazioni che danno piacere al palato ma anche agli occhi, con i loro colori vivaci. Pani speziati accompagnano ogni vivanda, dalla Sciakisciuka di Pantelleria ch’è una caponata di verdure varie alla Cucurummà di zucchine, agli onnipresenti involtini di Pescespada divenuti ormai più simili ad uno snack che ad una vera e propria pietanza.
Le preparazioni a base di pesce, a parte le grigliate, non sono mai banali ma veri e propri trionfi gastronomici dove la fantasia, il basilico, le patate, i peperoni e lo zenzero partecipano dell’opera d’arte e dove per tener “morbido” in cottura un polpo o una piovra, si aggiunge all’acqua di bollitura un turacciolo di sughero o, per grigliare a dovere una formaggetta o una provola, per evitare che squagli, la si spolvera preventivamente di farina di grano duro. Questi siciliani cucinano come se facessero ceramiche artistiche, opere d’arte, offerte sacerdotali, con l’amore, la cura ed il rispetto dovuti ad ogni dono di Dio.
Ed è a proposito della Tavola che si misura il grado di Civiltà di una Nazione, le sue Tradizioni, la sua Cultura quindi allorchè la menzogna risorgimentale continuerà a dirvi che al Sud noi si era selvaggi, poveri, affamati e sporchi, non le credete. Da noi, non è mai morto di fame nessuno e sulle nostre tavole c’erano le stesse cose che imbandivano la tavola dei nostri Re. Ed oggi, oggi che il Nord dell’industria e delle Banche ha miseramente fallito, la Sicilia ed il Sud intero si preparano ad affrontare il loro più autentico “risorgimento”, avendo dalla loro ricchezze inestimabili e carte importanti da giocare, per rilanciare l’economia ; la Storia, la Civiltà, il Turismo, l’Agricoltura e la Gastronomia. Ben venga la Devolution purchè non si verifichi un’altra invasione delle Due Sicilie e quella perniciosa contro-diaspora che potrebbe vedere una corrente migratoria di “cummenda” del Nord verso le nostre imprese locali. Dio voglia che la nostra Identità ed il nostro Orgoglio trionfino, per rimboccarci le maniche e tornare ad essere autosufficienti ed autodeterminati, così come ai tempi delle Due Sicilie, con la costituzione magari di una unica ed inattaccabile MacroRegione del Sud!
Marina Salvadore