Autonomia Siciliana e modello catalano
Giarre, 11 ottobre 2006
Come si sa in Sicilia si è risvegliato uno spirito autonomista e speriamo non solo perché Roma è sorda e “dichettosa”.
Molti autonomisti indicano nella Catalogna il loro riferimento, ma al momento, purtroppo, solo a parole, perché nei fatti la Sicilia continua a preferire un vecchio percorso che difficilmente può condurre al traguardo catalano. In Spagna, come in Italia, Madrid era sorda alle richieste di Barcellona.
Barcellona ha scelto una linea diretta mettendo all’angolo Madrid.
Ha coinvolto il popolo catalano, ha accertato di essere in grado di poter dar vita ad un autogoverno, ha sottoposto il tutto, con regolari referendum, al popolo catalano, ed ha “marciato” diritta non verso Madrid ma verso Bruxelles.
Perché la Sicilia, pur volendo una statuto simile a quello catalano non marcia allo stesso modo?
Perché non vuole tagliare il cordone ombelicale con Roma? Perché ha paura nell’autogoverno?
Perché non crede nelle proprie gambe e nelle proprie spalle?
Perché teme di non farcela finanziariamente?
O perché, come temono in molti, non vuole estinguere la mala pianta dell’ascarismo?
Qualcuno dovrebbe pur spiegare. Anche perché, se nessun interrogativo è valido, bisognerebbe fare un passo indietro e spiegare bene, ma proprio bene, ai siciliani cosa è il nuovo statuto catalano, e poi spiegare bene, ma proprio bene, il perché del Ponte sullo Stretto, e sottoporre il tutto al popolo siciliano con regolari referendum. Inutile fare battaglie perditempiste che possono far correre il rischio di scoraggiare la gente e soprattutto non centrare i traguardi. Come è inutile, fuorviante, anacronistico rispolverare percorsi “indipendentisti” o isolazionisti.
La Catalogna, è bene ricordarlo, dispone di uno statuto moderno ed attuale. Si fregia del titolo “nazione” ma resta una entità federale con i piedi ben piantati a terra.
La politica siciliana deve trovare il coraggio di togliere la testa da sotto i piedi per regalare alla nazione Sicilia percorsi in cui dignità ed orgoglio non siano ancora una volta calpestati.
Salvo Marino