Una ”moneta” siciliana? Una provocazione … seria
L’Altra Sicilia ha sempre privilegiato il realismo ed il rispetto “almeno” dello Statuto del 1946 rispetto a fughe in avanti di difficile comprensione e perciò pericolose.
Già nella nostra “Carta” abbiamo osservato che il rispetto sostanziale
dell’art. 40 dello Statuto (quello formale non è più pensabile perché è
cambiato il mondo delle valute dal 1946 ad oggi) possa realizzarsi
soltanto “regionalizzando” l’autorità di emissione monetaria e di controllo
sul credito, facendo partecipare intanto la Sicilia al sistema europeo
delle banche centrali come un paese a sé.
Non andavamo oltre perché ci sembrava…
(e ci sembra) improponibile
mettere in agenda politica rivendicazioni “monetarie e creditizie” più
avanzate di questa, almeno in questa fase storica.
Già questa prima rivendicazione però sarebbe di per sé rivoluzionaria.
Sul controllo siciliano del credito non c’è nemmeno bisogno di
soffermarsi tanto è ovvio quanto la subalternità del sistema bancario isolano a
quello italico abbia stritolato la nostra economia.
Emettendo banconote e monete in euro come gli altri stati sovrani la
Sicilia intanto riscuoterebbe quel diritto di signoraggio che le spetta
e che oggi è un’imposta occulta che versiamo ad una banca centrale che
ha il solo grande merito di avere desertificato il sistema bancario
siciliano. Nel nostro piccolo parteciperemmo alle politiche valutarie
europee e l’eventuale surplus valutario (perché nel medio-lungo termine si
andrebbe incontro a questo) se non proprio a beneficio diretto della
Sicilia, ci servirebbe per contare di più in un’Europa in cui oggi non
contiamo nulla in quanto pura colonia di un grande stato membro e non
vera regione in esso integrata.
Ma – a ben pensarci – si può andare oltre.
Se non proprio sul piano immediatamente politico, intanto su quello
degli studi di fattibilità. Si comincia sempre così.
A parte il fatto che sono state introdotte talune sperimentazioni di
“monete franche regionali” in alcuni länder tedeschi che potrebbero senza
troppi problemi sperimentarsi anche in Sicilia per stimolare la domanda
regionale e salvaguardare il potere d’acquisto della moneta, forse è
giunto il momento di pensare a cosa succederebbe (in astratto, lo
ripetiamo) se la Sicilia con un referendum decidesse di uscire dall’Unione
Monetaria Europea, cioè se ripudiasse questo pezzo di carta chiamato euro
e si dotasse di una moneta propria.
Che succederebbe alla Sicilia con una moneta distinta?
Sarebbero di più
i vantaggi o gli svantaggi?
E, se fossero di più i vantaggi senza
togliere niente a nessuno, perché soffrire come appendice malata di un
continente in declino mentre in tutto il mondo i tassi di crescita
impazziscono da un anno all’altro?
Non è che, per caso, gli unici paesi europei
che non hanno aderito all’euro sono proprio i più dinamici e
produttivi?
Vediamo di ragionare senza pregiudizi.
Intanto l’operazione avrebbe dei costi.
Immaginiamo a Messina, o nei porti e negli aeroporti, il “fastidio” di
dover cambiare moneta ad ogni viaggio e i costi che banchieri e
cambiavalute imporrebbero ai consumatori. Questo sarebbe certo un costo. Da
non sopravvalutare però. Gli euro, moneta forte del continente,
girerebbero comunque abbondanti in Sicilia e sarebbero facilmente reperibili dai
Siciliani in tutti gli istituti di credito. Il fastidio maggiore
sarebbe per i turisti italiani ed europei costretti a cambiare all’arrivo in
Sicilia o a sopportare negli acquisti un cambio meno favorevole.
Passato il primo shock, però, diventerebbe una cosa normale, come si fa ogni
volta che si viaggia ed anzi diventerebbe quasi un fatto “esotico”,
come un souvenir di viaggio.
Dal punto di vista dell’immagine questo cementerebbe il senso di
appartenenza ad una comunità da parte dei Siciliani e la traduzione in prassi
quotidiana della banale osservazione geografica che la Sicilia non è
propriamente in Europa ma è una terra d’incontro e di transizione tra
Europa, Africa e Asia. Sarebbe cioè il portato normale del progetto
“Sicilia zona franca”, terra di incontro e di libero scambio al centro del
Vecchio Mondo.
Questa moneta poi sarebbe agganciata naturalmente alle monete più
forti, garantita cioè da riserva valutarie ed auree, le prime soprattutto in
euro, ma anche in sterline e dollari e via via in Franchi svizzeri,
Yen, etc.
Cosa cambierebbe nella vita di tutti i giorni?
Una politica valutaria attenta e libera da Francoforte e da Roma,
affidata ad esperti economisti, ci consentirebbe (entro certi limiti) una
relativa fluttuazione, ma anche un controllo più stretto sul potere
d’acquisto di una moneta “nostra” che non ci sfuggirebbe di mano come è
accaduto già con la “liretta” e peggio con l’euro.
Una moneta siciliana non
favorirebbe certo una integrazione totale dei mercati distributivi e
sarebbe una parziale barriera occulta alla concorrenza esterna. Lo sanno
bene gli inglesi e gli scandinavi che infatti non ne vogliono sapere.
Infatti chi è al centro di una grande Europa, anche se paese povero come
la Repubblica Ceca o la Romania, ha tutto da guadagnare da
un’integrazione economica e monetaria che lo può vedere agire da protagonista nella
produzione o nella distribuzione di beni. Chi è alla periferia
fatalmente resta tale in tutti i sensi e fatalmente si deve approvvigionare di
beni che per raggiungere il suo paese vedono lievitare al massimo i
costi.
Con la moneta a sé si incentivano produzioni locali, magari non
altrettanto efficienti di quelle europee ma con benefici che ricadono nel
territorio e con un apporto dall’esterno limitato ai beni davvero
competitivi.
Ovviamente per controllare il potere d’acquisto di una moneta non basta
la moneta stessa, ma ci vuole la concorrenza.
Se “Zona franca”
dev’essere, dev’esserlo in tutti i sensi e quindi senza alcuna limitazione di
concorrenza. Quindi prodotti interni a prezzi competitivi dove
possibile, altrimenti prodotti esterni al miglior prezzo possibile e da dove che
sia (tutto il contrario di oggi poiché la concorrenza è solo
un’ideologia di regime che vale solo per far valere le politiche industriali
italiane di esportazione in Sicilia dei loro beni e servizi non solo a
discapito dei produttori siciliani ma anche di quelli stranieri).
E poi?
Poi ci sarebbero i cambi con l’euro che decidono tutto.
Stando alle magre statistiche di oggi sembrerebbe che la povera “Onza”
debba svalutarsi continuamente sull'”Euro”. Secondo noi questo sarebbe
vero solo nel breve termine (da tre a cinque anni), il tempo di
assestare il nuovo sistema economico e tagliare con il vecchio.
In questo caso i consumi “di lusso” si contrarrebbero di molto
nell’isola, ma per contro i salari diventerebbero (a parità di retribuzione
nominale) più competitivi, le nostre merci più competitive e la bilancia
dei pagamenti nei confronti dell’Europa tenderebbe spontaneamente a
riequilibrarsi. Per contro la vendita dei prodotti energetici al continente
(in euro o in dollari) ci vedrebbe più ricchi e compenserebbe
l’impoverimento derivante dalla svalutazione.
Ma nel medio-lungo termine la situazione non potrebbe che rovesciarsi.
Già oggi la bilancia commerciale dei prodotti energetici per la Sicilia
è deficitaria solo perché si rilevano come importazioni le materie
prime provenienti dall’estero ma non si rilevano come esportazioni i
prodotti finiti energetici esportati in Continente (perché ad oggi sono
considerate transazioni interne); se a questo si aggiungono i benefici
derivanti dall’esportazione di prodotti energetici che oggi la Sicilia
“regala” al Continente, nonché in benefici derivanti dalla complessiva
devoluzione fiscale degli artt.36-40 nonché dal progetto di “Sicilia Zona
Franca”, con uno statuto doganale, tributario e finanziario peculiare e
con il Porto Franco di Messina, l’effetto netto sarebbe quello di un
vero e proprio boom commerciale.
Non mancano i rischi però.
Innanzi tutto una “ritorsione italiana” che potrebbe durare anche
qualche decennio mirante a colpire i prodotti della “regione ribelle” sia
sul territorio italiano sia su quello europeo (e gli strumenti politici
non mancano); ma anche un doveroso progressivo necessario taglio dei
“trasferimenti” dalla finanza continentale (italiana e comunitaria) che
farebbero rallentare i consumi.
Quale l’effetto netto di vettori di segno opposto e di intensità
difficilmente valutabile?
Non si può stimare a priori senza approfondite
ricerche.
In sintesi però gli esiti possibili sarebbero due o tre:
– un persistente deficit siciliano verso il Continente nonostante tutto
(meno probabile in tempi di scarsità di risorse energetiche e comunque
improponibile nel lungo termine per una terra naturalmente ricca come
la Sicilia) per le cui conseguenze si veda quanto detto sopra;
– un sostanziale equilibrio che porterebbe ad un cambio puramente
nominale della valuta (un po’ come la Danimarca che rispetto all’Europa non
ha nessuno svantaggio ma neanche nessun vantaggio di avere una moneta
separata, se non quello identitario che a noi peraltro non pare affatto
secondario);
– un progressivo surplus tra Sicilia e Continente.
Poiché a noi pare che prima o poi questa sarà la strada, proviamo a
immaginare cosa significherà per la Sicilia trasformarsi in una Svizzera
al centro del Mediterraneo.
L’apprezzamento dell’Onza sull’Euro ci farà diventare più ricchi:
diminuirà il disagio sociale e potremo acquistare di più dall’esterno,
riequilibrando così i nostri conti con l’estero.
La diminuità competitività dei nostri prodotti sarà soltanto relativa
perché si tratta di beni in cui ci troviamo in posizione di rendita:
beni naturali ed ambientali, posizione geografica strategica, risorse
energetiche. Beni, cioè, a domanda relativamente rigida.
Se l’autonomia
monetaria sarà accompagnata da un massiccio investimento in formazione e
ricerca, la ricchezza culturale e la creatività dei Siciliani faranno il
resto. Per contro la vendita di prodotti energetici in dollari o euro
potrebbe smorzare la portata di questa risorsa in regime di cambi
crescenti. Ma la prospettiva di rialzo dei prezzi energetici dovrebbe in ogni
caso risolversi in nostro favore.
Semmai il problema di tanta ricchezza sarebbe quello di distribuirla in
parte con i paesi mediterranei (soprattutto la Tunisia) per evitare che
i dislivelli crescano oltre misura. Il surplus verso l’Europa la
Sicilia dovrebbe riversarlo in un “Piano Marshall” per il Maghreb, anche per
garantirsi un contesto confinante di pace e prosperità.
Forse il tema meriterebbe un vero e proprio libro, un “Libro Verde
sulla Zona Franca Siciliana e sulla moneta separata” per valutare con
maggiore attenzione la fattibilità e convenienza economica di una tale
operazione.
Ma, poi, se ci fosse la convenienza economica, perché mai non
tradurla in fattibilità politica?
Forse, però, questo è un tabù.
Per molti italiani (e purtroppo anche per molti siciliani) se la
Sicilia fa parte dell’Italia parlare di autonomia monetaria è semplicemente
vietato per definizione. Anche se in fondo molti paesi europei
concedevano ai loro territori d’oltremare una moneta separata; perché non
considerare la Sicilia un territorio italiano d’Oltremare?
Forse la vera scelta è tra la dipendenza e l’indipendenza economica. La
strada da noi tracciata indirizzerebbe la Sicilia verso
un’autosufficienza economica che ci farebbe più liberi (magari nell’immediato un po’
più poveri, poi più ricchi, ma da subito più liberi); al contrario la
strada attuale è quella di una dipendenza economica senza sbocchi, di
un’economia asfittica e assistita, dove poi fatalmente tutta la società va
in cancrena e fiorisce solo il malaffare.
A Noi la scelta tra queste due vie, solo a Noi, per il bene dei nostri
figli e per il futuro della Nostra Patria.
L’Altra Sicilia-Antudo!