UN ALTRO GIORNO E’ ANDATO

Bruxelles, 15 novembre 2000

Sottile raggio di sole accarezza i vetri mentre
avanzano nuvole grigie gravide di pioggia a
nascondere l’orizzonte. Nelle cose consuete di un
giorno ormai sempre piu’ uguale a quello trascorso,
ancora una breve parentesi per riportarti i giochi
della mente, negli spasmi della memoria.
Lontano mio figlio fa rimbalzare il pallone in un
gioco solitario popolato dalle folle dello stadio e
Gaia sorride al mattino sotto la schiuma di una doccia forse troppo calda.


Ancora per i sentieri del mondo, itinerario di
scoperte e nostalgie, dove un destino, ormai
accettato, ci ha posto “‘amaro pane a rompere”:
Viaggio e penso a loro, viaggio ma non recupero i
luoghi della memoria che si perdono, tendono a mutare o forse si sono gia’ cancellati.

Mi interrogo sulla vita, cerco un nesso nelle cose, nell’immagine riflessa da uno specchio improbabile, nei contrasti delle vetrine, nelle lenti di un passante, mentre il mondo scorre tutto intorno nei cambiamenti della giornata che diventa poi ora, prima attimo, solidificato da un ricordo, immaginato dalle pause del pensiero e, superati i momenti di riflessione profonda, tempo.

Ma temporalita’ banale, ordinaria, come una paura che si e’ ora fermata proprio per aiutarti a comprendere.

Paura del ritorno in un luogo che non esiste piu’
nella realtà, angolo rimasto nelle pieghe della
memoria, nel risveglio dei sogni. Chi non e’ siciliano,
chi non vive giorno per giorno a contatto con questa terra, anche in maniera ideale, come facciamo noi nel nord lontano, non riuscira’ a capire, non riuscira’ a gustare il suono del ricordo che non e’ nostalgia ne’ rimpianto, ma rievocazione, incontro ideale, con il genitore, con la terra, con i riti della terra, finiti ormai, stravolti purtroppo da una societa’ moderna che pero’ tutto livella e stravolge, da un sistema che annulla l’anima delle cose, nel cemento imperante, nei disordini delle citta’ ormai di cemento, nel caos del traffico, nei colori delle automobili, e nella confusione di valori e sentimenti che, al contrario, dovrebbero risultare irrinunciabili per una societa’ troppo spesso distratta dall’effimero, dalla capacita’ economica, che riduce il senso stesso dell’esistere.

Ci curiamo dentro percio’ il lieve fastidio, la
nostra sicilitudine, come sopportabile malessere che
non fa poi tanto male, inspiriamo i venti della
stagione che cambia ma anche l’attualita’ che assilla
l’Isola.

Molti ci criticano, tanti ci ignorano. Noi
continuiamo a mettere in rilievo quello che non va
evidenziando quello che potrebbe invece essere fatto.

Porgere la mano al nostro fratello in difficolta’,
ancora piu’ grave se vittima di ingiustizia in un
paese del nord lontano, dove il suo destino gli ha
posto amaro pane a rompere, un paese civile del nord lontano che prima lo sfrutta, ma non appena la sua vitalita’ flette, lo isola, lo umilia e lo espelle
(vedi Famiglia siciliana espulsa dalla Germania).

Gridare forte ai responsabili regionali di opporsi
alla sciagurata proposta di concedere la sanatoria
all’abusivismo imperante, proprio per impedire che
altre migliaia di costruzioni illegali possano sorgere
non laddove ce ne sia effettivamente bisogno, ma in riva al mare, nelle baie e nelle coste piu’ belle del
mondo (vedi Proposta di sanatoria per 127mila case
abusive).

Invocare imprenditorialita’, iniziative concrete per
impedire ai nostri giovani di continuare a partire,
non per restare a carico della famiglia, ma per
trovare appena fuori dall’uscio l’occasione di lavoro
e di crescita che le autorita’ ancora non hanno saputo offrire loro.

Autocarri frigoriferi partono pieni di zibibbo verso
le terre del nord lontano; lo stretto e’ attraversato
da camions carichi di rossi pomodori e da cisterne
colme di olio, che si lasciano alle spalle un’Isola
piena di tesori naturali, ma anche di teatri, templi,
chiese, piazze e palazzi, gemme del tempo.

Le banche del sud inviano verso il Nord i soldi dei
risparmiatori, perche’ da noi non c’e’ nessuno che li
chiede per investire; gli incentivi agli industriali
che investono nel sud sono utilizzati soprattutto
dalle aziende del nord che, di ritorno, ci danno un
pugno di posti di lavoro, sempre occupazione
subalterna, ma si portano al Nord i profitti.

Lo stesso avviene quando gli appalti nell’Isola sono
vinti da imprese settentrionali che poi, al sud,
lasciano soltanto lavori di subappalto. E’ il mercato
aperto a tutto.

Ribadiamo da tempo che dobbiamo valorizzare le
ricchezze della terra e dell’ambiente, ma di fronte
al mercato aperto, alla globalizzazione imperante,
tutto questo puo’ non bastare.

Allora, invece dell’uva, invece dell’olio o del
pomodoro, dovremmo vedere il nostro sretto,
fatamorgana e scillaecariddi, attraversato da
autocarri si’, ma pieni di bottiglie di vino, di
fusti di olio, di barattoli di salsa di pomodoro, di
conserve, di succhi di frutta, cosi’ potremo
rispondere, noi stessi, in prima persona alle sfide
della globalizzazione, senza continuamente subirle.

L’industria del turismo poi, non puo’ offrire
soltanto tramonti e panorami: ha bisogno di strade,
aeroporti, organizzazione, serieta’ e impegno.
Perche’ allora lasciare fare sempre agli altri e non
prenderci mai noi stessi carico delle nostre
ricchezze?

Perche’ soltanto le aziende del Nord devono poter
vendere i nostri prodotti, la nostra uva, il nostro
olio, la nostra frutta, il nostro turismo?
Dopo questo gran discorrere, dopo gli interrogativi
pero’, dopo i pensieri e i disagi delle nostre
contraddizioni, alla fine di una giornata di pensieri
e di lavoro, se ci fermiamo per un attimo e guardiamo lontano, vedremo ancora la nostra Isola.

E dal suo mare riemergono ombre e nostalgie, ma
anche le nostre stanchezze e la voglia di ritornare
indietro, nel forziere delle nostre memorie e dei
nostri affetti, alla fine di una giornata trascorsa
con il rimorso -forse- di averla, in qualche modo,
sciupata.

Eugenio Preta