Palermo e la Sicilia dolcemente affondano
Un popolo senza stato. Senza il suo oro, trafugato e portato a nord come il manto di Ruggero. Senza banche o imprese. Senza lingua (quasi). Al quale non appartengono più neanche le sue stesse città.
Cos’altro si può tentare di rubare ad un popolo così? Eppure, quatti quatti, continuano: un altro pezzettino (pare) stia per cadere, senza che nessuno osi dire una sola parola: la Padania sta per annettersi il porto di Palermo.
Denigrato ed umiliato da più di 50 anni, oramai ridotto ad un fantasma, un pallido ricordo del suo antico sé, paga lo scotto di essere situato in una posizione sin troppo appetibile. E da domani la nomina del suo presidente spetta allo stato. Il governo regionale potrà al massimo esprimere un parere senza valore. Alla faccia di ogni autonomia. Figuriamoci quella Siciliana.
Il porto di Palermo non fa più parte della città: a Roma (leggi Padania) decideranno cosa costruire e cosa distruggere, e vuoi vedere che alla fine ai palermitani spetterà piegarsi ai bisogni del porto e non viceversa. Non più il porto risorsa da sfruttare per Palermo e per la Sicilia tutta, bensì Palermo da sfruttare per favorire un malinteso sistema-paese… leggi ancora Padania.
Sarà un’operazione indolore, con una semplice firma (pare entro oggi, 5 gennaio) ed una poco poetica pubblicazione sulla gazzetta ufficiale lunedì prossimo (9 gennaio).
Al Palazzo dei Normanni già si naviga a vista. Ed ora, senza neanche un approdo certo, il destino sembra essere più che mai segnato.
Abate Vella
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