Donald Trump: una vittoria politica
Ho visto stamattina in TV giornalisti che mi hanno fatto ripensare all’ultimo soldato giapponese abbandonato nella giungla birmana . Propagandisti disperati e increduli, falsi informatori che reagivano tutti allo stesso modo.
La Stampa, Repubblica, il Corriere della sera, ad esempio, vedono da tempo l’Ucraina sbaragliare la Russia, Israele invadere l’Iran, vaccini che stroncano epidemie, ed oggi Kamala Harris ancora non irrimediabilmente sconfitta , senza voler arrendersi alla realtà: il nemico Trump ha vinto, e’ ritornato Presidente USA, non come alternativa passeggera ma come vincitore politico , avendo riportato la vittoria al Senato e , se i risultati si confermano, anche al Congresso . Apriti cielo!
Se nel 2016 gli elettori americani ignoravano cosa aspettarsi da una presidenza Trump e praticamente avevano esercitato un salto nell’ignoto, oggi la situazione è differente.
Gli elettori repubblicani non solo conoscono perfettamente il loro candidato , ma sanno bene dove li porterà. Un cammino che diverge fondamentalmente da quello disegnato dagli Stati Uniti dalle intelligenze progressiste , decostruziiniste e wokiste.
Trump vuole chiudere il ciclo della superpotenza impegnata nel mondo , pronta ad ergersi come modello democratico per dirla come Ronald Reagan “la città che brilla sulla collina”. Non ne è più il caso, facciamocene una ragione..
I tempi sono cambiati, cantava Bib Dylan, e Trump , se ormai intende abbandonare la funzione ecumenica delle politiche usa , deve ora intervenire in un mondo preda delle guerre commerciali e lo potrà fare solo difendendo , come aveva già fatto , gli interessi nazionali americani e perciò rifiutando il multilateralismo , dogma imposto dal nuovo ordine mondiale.
Gli europei hanno un cattivo ricordo del primo mandato di Trump e possono solo augurarsi che il presidente americano , in un continente dove la guerra sta facendo lutti e distruzioni , pensi di ridurre gli aiuti di guerra all’Ucraina e faccia uso del suo potere per fare quello che sarebbe stato più logico fare invece dell’invio di armi e soldi a Zelensky: obbligarlo al tavolo delle trattative.
Mettendo fine al conflitto , le nuove politiche di sicurezza che ne deriveranno potranno giovare a tutto il continente evitando all’Europa di parlare a voce plurima ed obbligandola a tenere un atteggiamento comune.
I famosi commentatori indipendenti hanno parlato di una campagna di Donald Trump dagli accenti virulenti , populisti ,misogini e razzisti, evidentemente sottacendo le dichiarazioni delle star , degli attori e degli sportivi che , loro si’ , intervenivano a gamba tesa con offese e ingiurie personali , esse stesse razziste, virulente e artificiose spesso.
Trump eredita un sistema in cui gli autocrati progressisti della nuova governance globale , invece di preservare le istituzioni democratiche sé ne erano già serviti, indebolendo persino la Corte suprema, dimostrando così di avere scelto il mondo americano , un conglomerato governato da multinazionali, finanza ebraica e lobby sioniste come suo indispensabile esecutore del piano della governance globale.
Se questo conglomerato fosse passato nelle mani di un presidente che non era stato scelto da tali poteri, allora qualsiasi possibilità di costruire un impero mondiale si sarebbe sciolta come neve al sole. Col ritiro di Geoffy Biden , l’entrata in campo della governatrice della California obbediva proprio a tale esigenza.
Per questo si è scatenata da tempo una guerra senza quartiere a Trump. Il Deep State non poteva permettersi di perdere l’America, il motore vitale del mondialismo e ha cospirato sin dal primo istante contro di lui.
Adesso invece, se ne facciano una ragione media e giornali schierati: gli elettori di Trump ,semplici cittadini donne, giovani così come i dirigenti d’impresa , il mondo degli affari e dell’ hi tech lo hanno scelto non come ripiego fatale ma con cognizione di causa e oggi sono fiduciosi in una nuova ripartenza degli USA per un risorgimento del mondo occidentale.
Eugenio Preta