Il futuro di questa Europa millenaria
Da attenti osservatori della costruzione di un’unione europea nel segno dei popoli e dei valori comuni, abbiamo notato ,nel corso degli anni, una voluta forzatura degli obiettivi fondatori di questa comunità (ndr: mettere insieme le produzioni di ferro e acciaio) verso principi – da alcuni ritenuti obbligati dal procedere di quel fenomeno epocale che si chiama globalizzazione, da altri giudicati poco rispettosi delle sovranità plurali di un’Europa che si voleva singolare – certo poco condivisi e a volte pure imposti dall’arroganza di elite politiche lontane dalle opinioni pubbliche nazionali.
Ma l’attualità dell’Europa è ancora ben lungi dal solidificarsi in Storia e gli avvenimenti che si sono succeduti nel tempo ne minano l’originaria purezza. Senza nascondersi dietro le parole, osiamo affermare che, nonostante il grande operare, oggi l’Europa non si è trasformata in unione politica, anche se opera come se lo fosse, non rappresenta l’estrinsecazione della solidarietà al plurale, anzi i sistemi di welfare statali sono stati oggi quasi azzerati, rimane solo un mercato aperto, una grande area di libero scambio che, senza regole valide per tutti e soprattutto obbedendo a regole decise da pochi, ha premiato soltanto finanza e lobby bancarie ed ha penalizzato popoli e cittadini.
Nel processo di costruzione europea, l’andare riformando dei Padri fondatori, tutto si è bloccato a causa della crisi economica mondiale, ma anche del braccio di ferro irrisolto tra federalismo e sovranità degli Stati, tra necessaria unione politica delle economie e obbligo di una moneta comune.
Dalla tempesta della crisi economica mondiale è venuto fuori il fenomeno, – anticipato nel 1974 da un discorso alle Nazioni Unite di Houari Boumedienne, presidente algerino, che prefigurava la marcia di intere popolazioni saheliche verso le grandi piazze delle città europee – le migrazioni di popoli indigenti verso l’eldorado europeo. Oggi l’Unione barcolla tra il political correct e il relativismo, si aprono mercati alla criminalità internazionale, si squilibrano democrazie consolidate, si combatte una battaglia di opportunismi e buonismi, non si riesce a parlare ad una sola voce sugli scenari geopolitici internazionali e la confusione che regna sovrana in questo continente di accoglienza e pluralismo sta aprendo le porte ai fondamentalisti islamici affamati e, loro soli ormai, impegnati nella difesa della sacralità dei loro propri valori .
L’Europa barcolla, cerca compromessi disonorevoli ed appare sempre più “attraente” senza la necessaria barriera del rispetto delle regole vigenti negli Stati membri.
La salvezza arriverà dai Paesi dell’Europa centrale? Il gruppo di Viseograd, quattro paesi che hanno deciso una cooperazione rafforzata in ambito di controllo delle loro frontiere comuni, ha almeno il merito di proporre soluzioni europee ad un problema che le élite nominate non riescono né vogliono risolvere. E se non si tratta a questo punto di salvezza del continente occidentale, ci si avvicina di molto.
Eppure Polonia, repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, il gruppo di Visegrad , sono sempre più tacciate di nazionalismo eccessivo e oggi sono accusate di favorire una deriva identitaria inconcepibile in un Europa che ha abbassato le sue difese, come se salvaguardare la propria identità, in questo mondo livellato verso la confusione dei valori, verso l’omogenizzazione delle coscienza e delle intelligenze e dei generi, costituisse un peccato mortale piuttosto che un’opera di necessaria autotutela con la convinzione di doversi fare carico del proprio destino per non lasciare ad altri la distruzione finale di una società che pure era stata costruita dopo guerre, lotte, rivoluzioni, inquisizioni, ma anche la creazione di valori universali.
A dispetto delle teorie dei soloni che interpretano la rivolta di questi Paesi di Viseograd come la prova di una loro debolezza, di una fragilità identitaria che sfiora il parossismo di una effettiva aggressione e di una paventata scomparsa, noi diciamo che in Europa, lo vogliamo o no, ci sono popoli che sono sopravvissuti a guerre e rivoluzioni da oltre mille anni e che oggi più che mai, riconquistato il loro alveo originario, hanno voglia di restare europei per altre migliaia di anni. Popoli che non hanno certo voglia di essere meticciati, non hanno voglia di scomparire.
Non è questione pertanto di paura o di angoscia ma soprattutto di spirito di sopravvivenza , volontà di restare popolo occidentale, razza di cultura greca e latina e di religione prevalentemente cristiana. Questo gruppo di paesi di Viseograd dal nome della località dove si riunirono per la prima volta, costituisce oggi una forza reale in continua crescita in seno all’unione europea. Nell’Europa delle frontiere spalancate, propongono il ristabilimento delle frontiere dei paesi per fare argine all’afflusso massiccio di migranti, in particolar modo per i paesi che si trovano sulla strada della migrazione verso la Germania, il vero centro del continente, tutte frontiere che li interessano direttamente.
La loro intenzione è di mettere al servizio dei paesi che lo richiederanno una dogana composta da poliziotti dei differenti paesi del gruppo per sorvegliare le frontiere ed assicurarne la loro sicurezza, in definitiva propongono loro un’Europa come avrebbe dovuto essere originariamente: una cooperazione stretta tra i Paesi membri per tutelare la sopravvivenza del continente e qualità della vita degli abitanti.
E in questa logica il gruppo di viseograd ha già studiato piani e misure connotate a gestire future sopravvenienti criticità, come l’implosione dell’Unione o il prossimo abbandono da parte della Gran Bretagna (Brexit).
Previsione è parola chiave del linguaggio diplomatico, ma questa Europa sembra non conoscerla tanto da non perdere occasione per dimostrare tutta la sua incompetenza specialmente in materia diplomatica, cosa che invece rimane sempre nel dna degli Stati sovrani.
Per riuscire a comprendere, consideriamo soltanto che questi paesi sono stati satelliti dell’ex unione sovietica che hanno perciò conosciuto l’orrore succeduto al nazismo e al comunismo, che oggi si ritrovano confrontati alla minaccia del fondamentalismo islamico e rifiutano in blocco ogni sistema di pensiero esterno che verrebbe interpretato solo come mezzo per assoggettare i loro popoli.
Un diplomatico polacco, in margine ai lavori di un consiglio europeo, si è lasciato andare ad una dichiarazione molto forte che sembra però riassumere il sentimento esistente oggi nelle opinioni pubbliche dei quattro paesi: “non abbiamo tradizioni di coabitazione con africani o mediorientali.”
Ad un’analisi senza partigianerie, le motivazioni dei quattro Paesi del gruppo di Viseograd appaiono chiare anche se – immaginiamo – non condivisibili dai seguaci di Coudhenove -Kalergi, il pan-europeismo senza limiti. Ma, nonostante le feroci critiche, i quattro sembrano voler rifiutare questa coabitazione imposta dall’Europa: avranno oppure no il diritto di pretendere la tutela della loro sovranità , il diritto più sacro per nazioni libere e indipendenti?
Eugenio Preta