109 anni fa la scomparsa della vecchia Europa
L‘estate del 1914 fu una delle più calde che l’Europa avesse mai conosciuto. Il continente era preda di piccoli conflitti, e sotto la canicola covavano le braci di un certo numero di mostri e non soltanto quell’anarchismo nichilista che aveva invaso buona parte dei territori orientali.
Quel 28 giugno 1914 l‘arciduca Francesco e la sua sposa vennero assassinati da un anarchico serbo e ben presto i servizi austro-ungarici scoprirono una cospirazione tentacolare che implicava la misteriosa organizzazione della “mano nera” infiltrata dai servizi militari serbi e dalla Russia che cercava di controbilanciare l’influenza austro-ungarica nei Balcani. Bastò a questo punto l‘attentato a Francesco Ferdinando per infiammare la situazione.
Il governo viennese affidò ad un fine diplomatico il compito di redigere un comunicato inattaccabile (e inaccettabile) per mettere i serbi con le spalle al muro. In una delle ingiunzioni il comunicato esigeva che la polizia austro-ungarica potesse indagare nei territori serbi per identificare ed arrestare i colpevoli: una cessione di sovranità, che oggi avremmo chiamato extra-territorialità, a cui i serbi si opposero con fermezza.
Il 23 luglio l‘ultimatum austro-ungarico venne inviato, fissandone il termine alle ore 17 del 25 luglio. Purtroppo abbiamo conosciuto il seguito: il 14 agosto l‘Intesa (Russia, Francia e Regno Unito) e l’Alleanza ( Austria-Ungheria, Germania e inizialmente anche l’Italia – che nel 1915 cambiava campo schierandosi a fianco dell’Intesa) decretarono la mobilitazione generale.
Si partì allora con i fiori nei fucili, convinti che la guerra sarebbe stata corta e “divertente”: quattro anni e nove milioni di morti dopo, una carneficina da incubo. Abbiamo conosciuto i gas nervini, il diluvio di obici. Le monarchie ne uscirono distrutte in Germania, in Austria-Ungheria, in Russia in Serbia e Turchia. Ma anche la vecchia Europa, tracotante e una volta dominatrice ne uscì distrutta nei suoi palazzi, nelle linee di parentela dei belligeranti, nei suoi territori assemblati e nella sua relativa incoscienza. Era successo qualcosa di irreparabile: gli europei si erano massacrati tra di loro.
Sono passati 109 anni, ma sembra soltanto ieri.
Gli eroi di allora rimangono nei monumenti, nei nomi delle vie e delle piazze e forse si domandano, da dove oggi ci guardano, se davvero sia valsa la pena morire con i propri compagni per arrivare laddove siamo oggi arrivati.
Eugenio Preta