Il parlamento europeo decide dalla fine dei motori termici
Il voto del Parlamento europeo contro le automobili a motore termico è la dimostrazione lampante del grande reset generale oggi in corso. Dopo territori, popoli, istituzioni, testi scritti, opere liriche e modi di essere, il nuovo pensiero si concentra sull’automobile e su tutti quelli che ne guidano una.
Fino a poco tempo fa l’automobile era un hobby, soprattutto sinonimo di divertimento. Si sono costruite autostrade e superstrade per collegare velocemente città e regioni e raggiungerle in breve tempo. C’è da dire che un tempo, le auto, erano molto curate esteticamente. Non solo le fuoriserie, ma anche le utilitarie, benché più contenute nei prezzi, erano costruite con un gusto estetico predominante. Nessun appunto infatti può ancora oggi essere mosso alle cinquecento e seicento Fiat o alle Citroen 2cv, e men che meno alle vecchie Lancia o alle Ferrari, le berline delle star e dei principi, ancora oggi oggetto di culto estremo.
Da quando però l’Unione europea si è aperta ai paesi nordici, protestanti e puritani, il piacere di guidare è diventato un peccato capitale. Da qui i limiti di velocità, l’obbligo delle cinture, la criminalizzazione dei guidatori assurta a modello nazionale con il pretesto vero o apparente di ridurre gli incidenti e salvare vite umane.
Ora, non si tratta soltanto di proteggere i cittadini, principio encomiabile, ma si tratta di dover salvaguardare il pianeta punendo questa volta il settore dell’auto, nonostante si sia calcolato che le emissioni di CO2 delle auto provochino solo il 12% dell’inquinamento. Il restante 88% riguarda il trasporto aereo, le superpetroliere che trasportano merci fabbricate da lavoratori asiatici senza tutele assistenziali e a volte addirittura senza salari minimamente decenti per rivenderle a cittadini europei spesso disoccupati o ancora in cerca di primo impiego.
Per non parlare delle industrie pesanti particolarmente inquinanti come le centrali a gas o a carbone impiegate per produrre l’energia indispensabile per far avanzare quel l’imbroglio chiamato vettura elettrica, le cui componenti comportano oltre all’installazione su strade ed autostrade di centraline elettriche per la ricarica, la costruzione di batterie al nichel, ad esempio, metallo molto raro la cui estrazione crea una colossale massa di rifiuti che vengono riversati in mare insieme al litio, estratto dai laghi salati andini che vengono disseccati e creano gravi problemi di siccità a quelle popolazioni già povere e poi il cobalto che viene estratto in Congo da bambini che per due dollari al giorno scavano a mani nude. E per finire, essendo le batterie molto pesanti è necessario alleggerire il veicolo costruendo carrozzerie in alluminio la cui estrazione origina i rifiuti del trattamento costituiti da soda, arsenico, ferro, mercurio, silicio e titano che si riversano in mare alla faccia della tanto decantata tutela ambientale.
Del resto il costo dello stop ai motori termici rischia di essere molto salato in termine sociale: si parla di una minaccia di soppressione di oltre 100.000 posti di lavoro tra i costruttori e l’indotto, entro il 2035. Al di là di una semplice scelta energetica o della decisione di privilegiare le popolazioni urbane che non hanno bisogno assoluto di utilizzare le vetture a dispetto di quelle rurali per le quali l’auto, oltre ad un piacere è certamente una necessità vitale.
A ben vedere si tratta di una scelta di società, tra quella del divieto e della punizione camuffata da nobili fini e quella del libero arbitrio che ti permette di poter disporre della tua propria vita nel modo più completo possibile e senza che l’autorità possa intervenire in alcun modo nella sfera privata di ciascuno di noi. Se così il Parlamento europeo ha inteso intervenire nella vita dei cittadini, ancora una volta ha dimostrato di essersi sbagliato su tutta la linea.
Eugenio Preta