Emanuel Macron vince la sfida. Marine Le Pen sconfitta senza scusanti
Macron si riconferma Presidente dei francesi lasciando a Marine Le Pen il 41,8% dei voti: una disfatta senza più appello, ma nello stesso tempo un piccolo miracolo se si pensa che quasi il 42% dei francesi non ha voluto seguire i consigli spassionati dispensati dai media del pensiero unico.
Tutti i talk show infatti, i dibattiti e le mille emissioni politiche dei canali televisivi francesi, in preparazione soprattutto del ballottaggio, si sono trasformati da informatori in predicatori ed hanno continuato a mandare in onda la parola d’ordine dettata dai politici, dagli intellettuali, dai presidenti dei mille comitati che fanno della politica la loro ragione di esistenza, dai cantanti, agli attori e agli sportivi in mutandoni, dediti una volta solo ai calci ed oggi diventati ispirati opinionisti, marescialli, per esempio l’ex juventino Lilian Thuram.
Marine Le Pen ha perso, ma queste presidenziali segnano soprattutto la sconfitta del pluralismo della stampa e dei media. E se nel corso del “regno” di Macron, nelle colonne di celebri quotidiani si leggevano informazioni piccanti che attaccavano il governo e spesso cronache realistiche delle crisi sociali nei diversi quartieri, arrivato il clou del momento elettorale tutto è rientrato nel silenziatore, proprio per il rifiuto di voler fare una scelta, non tra i due candidati, ma semplicemente tra una neutralità doverosa e un presidente candidato.
Tutti i media, infatti, hanno dimostrato la loro fedeltà al presidente modulando il calendario delle trasmissioni, il tipo di messaggio, le precauzioni oratorie che se erano differenti nella forma certo erano uguali nei contenuti.
Anche “La Croix”, ad esempio, il giornale degli Agostiniani – di fronte a quella che veniva definita la presidenza disastrosa sul piano dei principi non negoziabili, specialmente per le prospettive in materia di eutanasia di Macron – poteva lasciar immaginare quantomeno un’imparzialità, ed invece ha dimostrato di aver pagato il suo obolo quando il direttore di redazione non ha voluto dettare una linea di voto ai suoi lettori.
Anche “Le Figaro”, quotidiano della destra, ha rifatto, come nel 2017, una piroetta al suo dovere di stampa, come altri giornali ritenuti più indipendenti quando hanno sottolineato il pericolo di un voto alla Le Pen dimenticando i commenti e le analisi negative che avevano fatto, per cinque anni, sulle scelte del governo.
Una opposizione da operetta, fuori luogo in un momento così importante per il Paese.
Questi giornali, oggi, hanno rimesso le maschere dei finti oppositori e ricominceranno a fingere di essere diventati mezzi d’informazione intransigenti.
Ma come può ancora definirsi un Paese in cui quasi il 100% della stampa sovvenzionata sostiene il governo? Come può chiamarsi un Paese in cui più della metà dei cittadini non mostra più alcuna fiducia nell’informazione?
Sembra di essere arrivati ad un “Ite Missa est”. Ma è una messa di requiem per tutta la stampa di opposizione che esiste allo stato embrionale, come una crisalide e che per poter diventare pupa e poi farfalla dovrà assolutamente impegnarsi a ricostruire con urgenza.
Eugenio Preta