Orwell nelle mire della cancel culture
In linea con le attuali tendenze del progressismo, “1984” il romanzo distopico di George Orwell è improvvisamente diventato offensivo.
Una delle opere più suggestive della letteratura britannica che presagiva una realtà, allora certamente visionaria dell’evoluzione della nostra società in via di disfacimento e sicuramente profetica delle democrazie egualitarie – come tante altre opere della letteratura classica anglosassone – viene messa alla gogna dal delirio progressista.
La campagna di odio colpisce il romanzo di Orwell che, pubblicato nel 1949, descrive lo Stato totalitario che persegue il pensiero individuale. Un’opera che ha originato termini come “Grande fratello”, “Nuova lingua”, “Polizia del pensiero” che oggi sono entrati a far parte del lessico quotidiano.
Succede che proprio in Gran Bretagna, il personale docente dell’Università di Northampton abbia pubblicato una nota rivolta al lettore che si avventura tra le pagine di “1984”, avvertendolo che potrebbe trovarne il contenuto offensivo e sconvolgente.
L’allarme è quindi diretto agli spiriti progressisti che non vogliono ritenersi offesi e sconvolti dalla narrazione legata alla violenza, alla specificazione del genere, alla sessualità, al censo, alla razza, agli abusi sessuali, alle ideologie politiche e al linguaggio forte.
A questo punto non resta altro che denunziare questa isteria allarmista (woke) che rischia di trasformare scuole ed università in zone “Grande fratello” distopiche, dove viene praticato il pensiero unico per ridurre le possibilità del pensiero individuale ed annullare gli attori che non vi si attengono.
Sembra ormai, specialmente nel contesto della nuove generazioni, che si sia deliberatamente rinunciato ai diritti principali per conformarsi ad una società omogenizzata, governata da una élite liberale che veglia a proteggerci dalle idee che essa ritiene troppo estreme per la nostra sensibilità.
Così mentre “1984 “dovrebbe leggersi come un allarme profetico sui pericoli del totalitarismo ideologico che oggi ci viene servito sotto forma di benevolenza, di politicamente corretto, di progressismo a senso unico, di censura e di cultura de-costruttiva, l’ostracismo in atto sembra mettere in risalto proprio i temi che Orwell ha invece voluto censurare.
Nell’era digitale, nel momento in cui basta un solo clic su Internet per accedere ad una serie infinita di contenuti di ogni genere, dalla pornografia alla violenza estrema, alla curiosità scabrosa dell’inciviltà quotidiana sulle reti sociali ma anche nelle serie televisive che fanno apologia di una violenza fisica, morale o societaria gratuita, noi poveri cicisbei super connessi al virtuale e disconnessi dal reale, rischiamo la confusione più totale.
Dopo la fabbrica del cretino numerico siamo arrivati all’era del prepotente progressista, della generazione woke confusa che ancora non sa se definirsi ragazzo o ragazza.
Come può, a questo punto, una generazione che viene allertata per un libro, una storia, un raffreddore, affrontare i pericoli anche tragici del futuro che l’attende?
Eugenio Preta