Anche Interpol nelle contraddizioni di questo mondo fatto di sigle
Ormai le nostre informazioni passano attraverso sigle, abbreviativi, sunti, acronimi. Una sorta di strutturalismo moderno che riscontriamo osservando le grandi istituzioni internazionali: Onu, Ue, FMI, Bce e via discendendo verso le oltre 2000 agenzie ed organismi derivati, che si sono imposti di regolamentare l’impossibile.
Un aspetto questo del moderno liberismo che si rivela come una grande contraddizione quando afferma la libertà di non avere princìpi, ma allo stesso tempo sostiene che i princìpi esistono.
A ben vedere il moderno liberalismo non è una semplice dottrina politica, ma si rivela una rete, un piano mondiale che tende a chiudere la parentesi della Storia, liquidando appartenenze e valori costituiti come la famiglia, la nazione, l’etnia, la cultura, la civiltà. In sostanza un progetto ultimativo attraverso il quale si vogliono distruggere le identità degli Stati sovrani per creare una nuova prassi di potere, un sistema senza ideologia e con il fine ultimo di instaurare la «rete di intrighi estesa sul mondo», quella di cui parlava, nel 1923, il filosofo tedesco Moeller.
Una rete di intrighi che segna inesorabilmente il passaggio finale dal liberalismo senza domande – quello capitalista internazionale legato ancora alla finzione dei “governi nazionali” – ad un liberalismo finanziario cosmopolita, che ha banalizzato ormai, attraverso gli “acronimi”, le necessarie informazioni ai cittadini, ed annullato nel mondialismo, tutte le sovranità allo Stato nazione.
L’organizzazione internazionale di Polizia, Interpol, si riunirà questo fine settimana ad Istanbul per eleggere il nuovo Presidente ed il Comitato esecutivo. Elezioni che hanno innescato vive polemiche per la natura controversa degli attuali candidati alla Presidenza: Ahmed al Raisi, ispettore del ministero degli interni degli Emirati Arabi Uniti, già membro del comitato esecutivo di Interpol e Hu Binchen, funzionario del ministero della pubblica sicurezza cinese, in lizza per un posto nel comitato esecutivo.
Pur se nella carta istitutiva dell’Interpol è menzionato l’obbligo del rispetto dei diritti dell’uomo, si corre il rischio che la presidenza di un’istituzione nata per perseguire in tutto il mondo gli autori dei crimini più odiosi, possa essere occupata da un individuo coinvolto anche in casi di tortura.
Ma gli Emirati sanno utilizzare i loro petrodollari: tra i maggiori finanziatori annuali con 23 milioni di dollari, hanno garantito a Interpol un ulteriore finanziamento di 56 milioni di dollari, diventando così il secondo sostenitore dell’organizzazione dopo gli Stati Uniti, e possono vantare con il governo francese un rapporto privilegiato consolidato dall’acquisto di decine di caccia Rafale.
Il vertice dell’Interpol sta diventando una carica delicata: nel 2018 l’allora presidente, il cinese Meng Hongwei, scomparso all’improvviso dalla sede di Lione, è stato poi condannato in Cina a 13 anni di carcere per corruzione ed anche l’attuale candidato Al Raisi non gode di buona reputazione recentemente attaccato con accuse molto gravi dalle agenzie umanitarie internazionali, mentre in Italia, a dimostrazione delle contraddizioni esistenti nel panorama internazionale, Al Raisi ha ricevuto la medaglia di Commendatore dell’ordine della stella d’Italia per il suo impegno nei rapporti tra Italia e gli Emirati arabi, Paese accusato di utilizzare Interpol per perseguire le proprie politiche repressive interne.
Il riferimento in particolare va alle cosiddette “red notice”, avvisi di richiesta di arresto che diventano una specie di estradizione non vincolante e che gli EAU sembrano utilizzare troppo frequentemente facendo leva proprio sulle donazioni economiche per condizionare le politiche interne dell’agenzia.
Col solo pretesto del multiculturalismo, sottacendo le gravi accuse di torture e condizionamenti violenti, la polizia internazionale potrà eleggere al suo vertice il candidato di uno dei potentati del Golfo specializzati nel silenziare gli oppositori?
Quale immagine avrà domani Interpol se il candidato degli Emirati arabi – che intanto stanno acquisendo grande visibilità democratica utilizzando i loro petrodollari per l’organizzazione di gran premi, esposizioni universali e persino campionati mondiali di “padel” – occupasse persino il vertice di Interpol, un organismo internazionale nato principalmente per combattere corruzione, terrorismo, traffico di droga, crimine organizzato e varia criminalità?
Eugenio Preta