La sconfitta dalla coalizione più forte del mondo in Afghanistan
Il nostro Occidente, divenuto ormai una mera civilizzazione materialista e consumistica, si ritira vigliaccamente dall’Afghanistan e perde irrimediabilmente ancora una volta la faccia. Ci siamo sempre fidati degli americani, ma dalla guerra di Corea a quella del Vietnam essi hanno preso l’abitudine di abbandonare gli alleati, lasciandoli alla vendetta dei loro nemici. Lo avevano fatto già prima, permettendo ai comunisti di Mao di battere i nazionalisti cinesi di Chiang Kai-Shek.
Oggi la caduta di Kabul ricorda quella di Saigon e l’abbandono dell’esercito vietnamita armato ed addestrato dagli Stati Uniti. Possiamo ancora parlare di fiducia nell’impegno e negli aiuti Usa (e dei paesi UE) se dopo Mossoul, la maggior parte delle province afgane si è arresa senza combattere?
E come sono stati spesi tutti i fondi impiegati negli armamenti, nell’addestramento e nella formazione delle reclute afgane (anche dai nostri carabinieri ) se queste sono scappate, armi e bagagli, alle prime avvisaglie di scontri? A cosa sono serviti i nostri morti di Nassyria e in tutto l’Afganistan?
Fino a quando la geopolitica dipenderà dagli strateghi da scrivania ministeriale che non hanno mai visto una battaglia e non sanno fare la differenza nemmeno tra i continenti, il rischio di errori macroscopici rimane elevatissimo.
Forse oggi al Pentagono qualcuno pensa che un emirato islamico a sud della Russia e dei suoi alleati musulmani dell’Asia centrale non sia una cattiva cosa per Washington che ha sempre coltivato una sorprendente simpatia per i musulmani più retrogradi, come successo in ex Jugoslavia e come succederà col Pakistan, un vecchio alleato «paradossale» dell’occidente che ora, grazie al dietrofront USA vedrà crescere il suo valore strategico regionale.
Per gli USA è stato sempre più facile fomentare colpi di stato ai quali il popolo restava indifferente piuttosto che spingere proprio il popolo a rivoltarsi contro il tiranno. È successo ieri col marxismo, oggi succede con l’islamismo, abili a provocare quelle rivoluzioni che l’ideale del liberalismo consumistico non è capace neanche di immaginare.
Del resto la Storia ci insegna come nel ‘56 gli ungheresi abbiano preso le armi per conquistare la loro libertà. Ma che l’abbiano poi ottenuta solo nell’89 quando il loro tirannò ha lasciato campo libero e non si è minimamente opposto.
Eugenio Preta