Realismo politico per risolvere il conflitto israelo-palestinese
I nuovi scontri tra Israele e Hamas stanno concentrando ancora una volta l’attenzione del mondo su un piccolissimo territorio che condensa però una ricchezza storica e religiosa che è inversamente proporzionale alle sue reali dimensioni.
Gerusalemme, capitale di Davide e città del Tempio, luogo della Passione del Cristo, che racchiude i luoghi sacri di tre religioni, è stata conquistata dagli Ebrei e poi perduta a più riprese mentre gli arabi musulmani l’hanno tenuta per più di 13 secoli, prima e dopo la breve occupazione dei cristiani che ne avevano liberato l’accesso grazie alle crociate.
Due sono gli aspetti della realtà storica di quei territori che l’Europa non può rinnegare: l’antisemitismo europeo, di diversa intensità secondo le epoche storiche e le varie regioni del continente e l’esistenza di una comunità israelita, preoccupata di salvaguardare la sua storia e le sue tradizioni.
Il progetto sionista della restaurazione di uno Stato ebreo capace di difendere la sua gente sulla terra promessa ritrovata così come la strumentalizzazione fatta dai nazisti dell’Islam, verso cui provavano una forte attrazione (prova ne è la collaborazione con il grande Mufti di Gerusalemme, ad esempio, rifugiatosi a Berlino presso il Reich) è stato legittimato proprio dal delirio antisemita dei nazisti.
Due situazioni storiche che hanno dato ancora più forza al progetto di uno Stato di Israele, costituito poi dalla lotta armata di un pugno di reduci dei campi di sterminio insieme ai coloni che abitavano da secoli quella terra
La loro vittoria ottenuta contro eserciti più armati e più numerosi ha costruito quell’epopea iniziale che corrobora il discorso storico della nascita di ogni Stato nazione ma ha determinato le criticità oggi sempre in continuo aumento.
Alle potenze dell’Alleanza delle Nazioni che dovevano legittimare la nascita di Israele si aprivano due ipotesi entrambe di difficile soluzione: se avessero lasciato gli ebrei di Palestina senza uno Stato li avrebbero praticamente condannati al genocidio; se avessero permesso di creare questo Stato avrebbero penalizzato le popolazioni originarie che detenevano quel territorio prima che lo facessero gli arabi.
A ben vedere però le carte, si scopre che lo stato ebreo, lungo la costa inglobava in parte il paese dei Pilistini (Palestina) e lasciava la Giudea e la Samaria, antichi regni d’Israele e di Giuda, agli arabi di Giordania.
L’eventualità di bocciare il progetto sionista era stata respinta sia perché l’esiguità di quel territorio di Israele lo rendeva irrisibile sia perché la sua composizione demografica interna lo esponeva a ritrovarsi ben presto abitato da una maggioranza arabo-musulmana.
Nella confusione che hanno creato guerre e battaglie diplomatiche, solo un sano realismo sarebbe servito a fare ordine.
Oggi le frontiere originarie non sono più difendibili: Israele si è esteso alla Cisgiordania, abbandonando a poco a poco la striscia di Gaza, una zona aberrante dal punto di vista economico e politico, praticamente consentendo il bombardamento delle città israeliane a partire da quelle zone ed ora non può certamente permettere ad uno Stato nemico di ritornare a qualche chilometro dalla costa.
Dal momento che la città santa è zona consacrata dalle tre religioni, che i cristiani hanno accesso ai luoghi santi e che i musulmani possono contare su la Mecca e Medina, sarebbe più ragionevole decidere di liberare Gerusalemme dal punto di vista politico.
Potrebbe essere una soluzione possibile perché la maggior parte dei paesi arabi hanno oggi ben altre preoccupazioni piuttosto che pensare alla Palestina e invece potrebbero approfittarne per intrattenere relazioni amichevoli con Israele, uno Stato il cui indice di sviluppo si rivelerebbe positivo per tutta la regione, specialmente ora che il nazionalismo arabo si è ripiegato sul patriottismo nazionale e solo l’islamismo rimane chiaramente il nemico dell’Occidente.
La soluzione più realista potrebbe essere evidentemente quella di costituire un solo Stato. Resterebbe aperto però il problema più spinoso: quello di una popolazione araba-musulmana sul territorio del Grande Israele relativamente ai diritti da dover poi garantire e alla sua evoluzione demografica da dover continuamente tenere sotto controllo.
Eppure, nonostante il racconto negativo fatto dalla maggioranza dei media, la politica dello sconfitto Trump, più vicina a questo orientamento, oggi si sarebbe forse rivelata vincente.
Gli USA però, con l’elezione di Biden, sembrano essere ritornati ad una svolta mediorientale e il risveglio di uno dei conflitti più pericolosi potrebbe rappresentarne la conseguenza più tragica, non solo per Israele, ma anche per il resto del mondo.
Eugenio Preta