L’establishment Usa risorge e presenta il conto a Trump
Da qualche giorno è cominciata la pesante scomunica del popolo trumpista perché, come in una specie di catarsi del fallimento, Trump ha volutamente sabotato il futuro del movimento da lui creato, dimostrando di non sopportare la sconfitta e, al contrario di Xi Jinping o di Putin, di non essere un vero uomo di Stato.
Violare l’istituzione simbolica del Congresso americano è stato un atto imperdonabile, una manifestazione di protesta che non può essere giustificata e neanche classificata come un tentativo di colpo di stato, tanto più che gli stessi che gridano al “crucifige” di Trump sono gli stessi che sono rimasti in silenzio quando l’estrema sinistra radicale e i Black Lives Matter avevano invaso quegli stessi luoghi provocando decine di morti.
Il trumpismo si sta rivelando troppo grande per Trump. Il suo errore è stato quello di aver fatto affidamento esclusivamente sul popolo per superare i quattro anni di un continuo colpo di Stato perpetrato nei suoi confronti. Il leader cinese o il leader russo non si sarebbero certo lasciati sorprendere dalla sconfitta anzi, in una sua eventualità, avrebbero sicuramente operato per aumentare i loro poteri. Ormai è sempre più evidente come in questa modernità post-ideologica, il potere non appartenga più al popolo ma ai gruppi detentori della ricchezza nazionale: finanzieri, industriali e banchieri, quella casta sempre implacabilmente pronta a stare al comando.
Trump si è fatto travolgere da questa stessa plutocrazia che pur aveva terrorizzato cercando di distruggerne la realizzazione pazientemente costruita da Clinton e da Obama, un progetto societario che tende all’arricchimento delle classi medio-proletarie. L’ormai ex presidente istintivamente aveva saputo captare questo fenomeno e soprattutto aveva cercato di svilupparlo anche, accendendo così grandi speranze tra i disperati che improvvisamente si erano sentiti riammessi nella Storia, senza più vergogna.
Chi di spada ferisce però di spada perisce e Trump, ad esempio, si è fidato di Twitter e da Twitter è stato sconfitto. Eppure egli deve la sua prima elezione proprio ai circuiti internet, quelle stesse reti social che hanno ostracizzato, cancellato ed oggi annullato la sua ascesa e la fortuna dei suoi seguaci, non soltanto relativamente alle cariche pubbliche, ma anche per quanto concerne gli impieghi privati.
Non passa giorno ormai senza che i più potenti circuiti mediatici non parlino di rieducazione, non invitino ad abbandonare i canali televisivi o radiofonici alternativi. E’ partita una riedizione della famosa caccia alle streghe e si discute persino sulla opportunità di istituire un sistema di crediti sociali, secondo il modello cinese.
Ora che il popolo dovrà riguadagnarsi la fiducia del governo, Trump sarà messo a morte, rovinato finanziariamente per pagare gli avvocati che dovranno cercare di evitargli il carcere e ridurgli la cascata di accuse. Una scomunica netta, senza nessuna possibile Canosa perché – diciamocelo chiaramente – non è la sinistra progressista e democratica che ha sconfitto Trump, ma la plutocrazia tecnetronica, tecnicamente avanzata e al di là dell’elettronica ipotecata dal modello cinese.
Un cartello sostenuto sia dalla destra che dalla sinistra, da Wall Street, dalla burocrazia, dalle truppe d’attacco sedicentemente rivoluzionarie che fanno il gioco della super classe mondiale, il super capitalismo.
Ricordiamoci di vivere ormai nel terzo millennio, il secolo della fusione di marxismo e capitalismo, il secolo che non ha più destra né sinistra, l’era esclusiva di chi sta in alto e chi resta invece giù in basso…
Eugenio Preta