I progetti edilizi, le ristrutturazioni e le spese comuni nella diatriba di una sede unica del Parlamento europeo
Oggi la tematica di una sede unica del Parlamento europeo – che sembrava essersi definitivamente conclusa con la Brexit che ha praticamente messo fuori gioco l’idiosincrasia britannica da sempre ostile a Strasburgo – ritorna d’attualità come un elefante che si agita tra porcellane e cristalli preziosi, ed agita la quiete piatta europea.
Dal 1958 Strasburgo è sede istituzionale ed ospita le sessioni plenarie del Parlamento europeo. Una scelta simbolica proprio perché Strasburgo – dal tempo della “die wacht am rhein” (la veglia armata delle truppe prima di attraversare vicendevolmente il Reno) – sempre contesa tra francesi e tedeschi, è diventata il simbolo della riconciliazione e soprattutto della pax continentale.
La scelta di una città invece di un’altra, non è soltanto una scelta politica ma soprattutto economica, ricordando in questa logica anche la filosofia dell’Unione che, per dare un contentino a tutti, ha creato oltre 2000 agenzie europee (dei farmaci, dei consumatori, per le traduzioni, ecc.) in tutti i Paesi membri con una spesa annuale incalcolabile. Per la città di Strasburgo e per tutta la regione alsaziana, ad esempio, la ricaduta economica di una settimana scarsa di lavori parlamentari significa la creazione di 11.000 posti di lavoro ed una entrata supplementare di 637 milioni di euro annuali.
La questione di una sede unica per le Assemblee plenarie era stata risolta grazie al pragmatismo del Segretario generale del parlamento europeo, il messinese Enrico Vinci che, per impedire il voto del Consiglio, immaginò un “divide et impera” che concesse una mini sessione di tre giorni del Parlamento europeo a Bruxelles, riuscì a far mantenere la Sessione mensile a Strasburgo e ottenne per il Lussemburgo, in cambio della rinuncia, a tenere le Plenarie nel Granducato, il mantenimento degli uffici del segretariato generale del Parlamento europeo, di quelli della BEI, delle sedi centrali della Corte di giustizia, della Corte dei Conti, di Eurocontrol e il trasferimento di alcune divisioni della Commissione esecutiva, tra le quali il costituendo Centro europeo di traduzione e interpretariato.
Del resto, per bloccare le reiterate iniziative dei deputati anti-Strasburgo, l’allora sindaco della capitale alsaziana, l’ex ministro gollista Pierre Pflimlin, si era lanciato in un’operazione immobiliare di grande ambizione, che aveva dotato la città di Strasburgo di una importante sede, con uffici gratuiti per tutti i deputati.
Iniziava così la corsa all’edificazione selvaggia dei quartieri istituzionali europei: Bruxelles costruiva nuovi siti per raggruppare i lavori di commissione che fino ad allora non avevano una sede unica, ma erano itineranti e si tenevano al Palais d’Egmont, nella sede del Comitato economico e sociale, nei locali della Commissione esecutiva del Boulevard de Berlaimont. Oggi esiste un intero quartiere con annessa Aula assembleare ed uffici destinati ai deputati ed ai loro assistenti.
Il Lussemburgo – che fino a metà degli anni 80 ospitava la Plenaria del Parlamento europeo – per non restare tagliato fuori, dava inizio alla costruzione di torri e edifici per una eventuale ridistribuzione delle sedi ed attualmente ospita le Istituzioni europee più importanti ed oggi continua a ristrutturare edifici non più vecchi di 10 anni. Anche in Belgio è scattata la rincorsa alla ricostruzione di strutture edificate solo nel ‘93 quando le autorità del regno decisero la costruzione di un secondo Parlamento, vetri e cementi (e soldi dei contribuenti) che prossimamente verranno abbattuti per essere ricostruiti più luccicanti in un progetto dal prezzo scontato di oltre 500 milioni di euro per un emiciclo più capiente (forse per contenere anche i 96 prossimi eurodeputati turchi e quelli dei paesi dei Balcani sud-occidentali Serbia, Montenegro, Albania e Kossovo, già in trattato di pre-adesione (in parole povere: ricevono annualmente, milioni di euro per adeguare agli standard europei richiesti, le loro disastrate istituzioni pubbliche).
Le cattedrali durano 1000 anni ma la cattedrale europea di Bruxelles che di anni ne ha poco meno di 20 verrà così prossimamente distrutta. Il progetto belga prevede infatti la costruzione di un nuovo emiciclo di oltre 900 posti, di numerose sale di riunioni di oltre 1.200 posti, di 940 uffici per i deputati ed i loro collaboratori a cui si dovranno aggiungere quelli per il personale amministrativo di supporto. Aperte il 7 gennaio del 2020, le offerte d’asta per l’aggiudicazione dei lavori sono attualmente al vaglio dell’Amministrazione del Parlamento Europeo.
La lobby anti-Strasburgo, passando volontariamente sotto silenzio la spesa faraonica del progetto, adesso adduce come giustificazione la necessità di dover diminuire gli effetti del gas serra, lo spauracchio ambientalista CO2 e la scusa di un ragguardevole risparmio di 616 milioni di euro, che deriverebbero dalla vendita delle installazioni parlamentari, quelle di Strasburgo e dal licenziamento del personale che ci lavora. Ma se si trattasse soltanto di obbedire ad esigenze di risparmio, basterebbe come sopra accennato, smettere, ad esempio, di ricostruire edifici, non più vecchi di 10 anni, sulla collina del Kirchberg in Lussemburgo – forse per assecondare la speculazione edilizia che attualmente il governo del piccolo Granducato sta perseguendo – o ancora, annullare il contratto di affitto in scadenza nel 2039, di 465 milioni di euro degli uffici dell’Agenzia europea del farmaco a Londra – soprattutto perché la stessa Agenzia, già dal 1 marzo 2019, è stata trasferita ad Amsterdam – o, altro esempio, rivedere gli aiuti di 775 milioni anti covid impegnati non in Italia o in Francia, ma in una zona meno colpita come quella del Maghreb.
Di fronte ad una crisi economica, corollario della pandemia ancora invitta che ha messo al tappeto produzioni e, conseguentemente i consumi, e le disponibilità delle famiglie europee, le autorità di questa Europa, invece di obbligarsi alle scelte del buon padre di famiglia, sembrano impegnate a ricostruire edifici che restano per lo più disabitati, cattedrali nel deserto di un culto inutile. Sperequazioni europee o scandali nascosti?
Attualmente, da testimoni oculari, cerchiamo di fare informazione attingendo alla letteratura e anche alla lirica musicale ricordando Jacques Brel, quando cantava Strasburgo e tendeva a minimizzarne l’effettiva valenza: ”…pur se si attraversa col cuore, Strasburgo è solo più piccola di una piazzetta del mio quartiere di Bruxelles”.
Eugenio Preta