Emigrazione: Piaga purulenta del Popolo Siciliano
“Riportare a galla la verità, la storia effettiva, non è impresa facile in un ambiente in cui il falso è glorificato come patriottismo. Farla conoscere è ancora più arduo, perché la verità si scontra con una falsificazione istillata nella mente dei fanciulli insieme al catechismo.” (Nicola Zitara)
È un fatto storico ed innegabile che prima dell’Unità d’Italia l’emigrazione in Sicilia era completamente sconosciuta e sono certo che i nostri antenati, che nel 1860 consegnarono ai “fratelli piemontesi” la Sicilia senza porre alcuna condizione, abdicarono con troppo allegria e con somma incoscienza alle proprie prerogative plurisecolari di sovranità, non potevano pensare che i loro figli di li a poco avrebbero conosciuto l’onta e l’umiliazione dell’emigrazione.
Tasse ed imposte esose, prima sconosciute, piovvero come una funesta grandinata sui Siciliani. Tutto venne tassato nel frenetico tentativo di reperire denaro liquido per potere risanare le dissestate finanze del Regno Piemontese, senza che la Sicilia ed il Meridione in genere ricevessero una contropartita.
Venne estesa ai Siciliani la circoscrizione obbligatoria di leva, completamente sconosciuta prima di allora, che suscitò resistenze e tumulti repressi ferocemente nel sangue e con la galera. I siciliani furono costretti a militare per lungo tempo nell’esercito del nuovo Stato Unitario con la conseguenza che i giovani venivano sottratti alla produzione e al lavoro senza ricevere alcunché in cambio.
In attuazione del motto garibaldino “pochi preti, niente frati, siamo tutti soldati” si soppressero gli Enti ecclesiastici e poiché i loro conventi e le loro terre non erano trasportabili, si pensò di vendere agli stessi Siciliani i loro stessi beni e di trasferire così nelle fraterne casse del nuovo Stato Unitario il denaro liquido ricavato. Tale occulata operazione raggiunse lo scopo di togliere ai Siciliani la maggior parte del denaro liquido esistente in modo da evitare così che l’accumulo di capitali potesse incrementere e dare respiro alle attività economiche dell’Isola.
Traditi dalle promesse dei garibaldini, mai mantenute, esasperati da tante angherie ed opprssioni, nel 1866 i Siciliani si rivoltarono e Palermo per sette giorni e mezzo divenne un campo di battaglia. L’eroica rivolta, di cui i Siciliani si possono meritatamente vantare, venne repressa con inaudita ferocia e crudeltà dalle truppe “liberal-savoiarde” fatte sbarcare appositamente in Sicilia, e la rivolta venne contrabbandata, come al solito, dai cronisti del regime come “sommossa di briganti”.
Altra malefica iattura fu l’estensione alla Sicilia di tutta la legislazione piemontese improntata a cultura, a tradizione, ad interessi ed a finalità apertamente contrari ai nostri. E come se ciò non bastasse la successiva legislazione non tenne conto dei bisogni e delle necessità dell’Isola e la Sicilia, per dirla con le parole di Agostino De Pretis, divenne da “Paradiso governato da Satana”, un ardente Inferno dominato da parecchi diavoli.
Verso la fine dell’800 i Siciliani stanchi delle angherie dispotiche di un regime rivelatosi nemico, dissanguati da tasse esorbitanti e ridotti alla fame, si organizzarono nei gloriosi Fasci Siciliani dei Lavoratori per potersi riscattare dallo stato di miseria e di abbruttimento in cui erano precipitati. Ma i Siciliani che reclamavano lavoro e condizioni di vita più umane vennero fatti uccidere e mandati a marcire nelle patrie galere da quell’indegno figlio, di questa nobile Terra, che porta il nome di Francesco Crispi. Nonostante ciò i Siciliani, ai quali è stata tolta la memoria storica perché fattisi colonizzare, hanno osato dedicare al nome di Francesco Crispi una Via od una Piazza in ogni Comune dell’Isola, commettendo così un grave affronto nei confronti di chi aveva difeso i diritti di questo Popolo. Il Re Umberto I, però, a proposito del suo fedele servitore Francesco Crispi soleva dire “Crispi è un porco, ma un porco necessario”. Così si legge nel diario dell’aiutante di campo marchese Paolo Paolucci pubblicato dall’editore Rusconi. (Annotazioni del 25 Giugno 1895). Ciò che i Siciliani non hanno saputo dire lo disse con sommo disprezzo il Re Sabaudo.
Amareggiati e sconfitti ai Siciliani non restava altro scampo che la fuga. Agli albori di questo secolo i Siciliani lasciarono in massa la loro amata Terra, i loro affetti più cari, si trasferirono nel Nord America e per la prima volta nella loro plurimillennaria storia divennero emigranti.
Partiti dalla Sicilia senza una lira, privi di cultura ed analfabeti, i Siciliani emigrati riuscirono con le loro capacità naturali ed innate a conquistare posti di prestigio nel campo economico e sociale del Nuovo Mondo, che un regime ostile non gli aveva permesso di raggiungere nella propria Terra.
Ma altre stazioni della lunga Via Crucis erano riservate ai Siciliani da un crudele destino. Guerre sanguinose ed inutili si susseguirono negli anni successivi, regimi dispotici imperarono per lungo tempo, ma finalmente i Siciliani riuscirono a conquistare nel 1946 la sospirata autonomia, sostenuta da un valido ed efficace Statuto Sembrava che la Sicilia dovesse imboccare un nuovo corso di rinascita e di rinnovovamento, ma purtroppo le ansie e le aspettative vennero ben presto deluse.
Nessun articolo qualificante dello Statuto ha potuto trovare attuazione sino ad oggi.
I Siciliani rimasti ancora una volta beffati e delusi, negli anni ‘50, cioè quando si doveva costruire la nuova Sicilia sulla scia dell’ardito Statuto conquistato a prezzo di lotte e di sangue, furono costretti per sopravvivere a fuggire ancora una volta dalla loro Terra per disperdersi in tutte le parti del Mondo.
Questa è storia dei nostri giorni. La Sicilia è rimasta in coda a tutte le statistiche finanziarie ed economiche delle Regioni d’Italia.
Dott. Salvatore Riggio Scaduto (Magistrato a Caltanissetta)
L’ALTRA SICILIA ( https://www.laltrasicilia.org )
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“Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato odio”.
Giuseppe Garibaldi (da una lettera ad Adelaide Cairoli del 1868)
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“Lo stato italiano (leggasi sabaudo) è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.
Antonio Gramsci (da Ordine Nuovo del 1920)
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