Il ritorno alle frontiere nazionali non è più rinviabile
I gravi problemi economici in cui versano gli Stati membri, non ultima la grave crisi sanitaria creata dall’epidemia covid 19, possono ritenersi un forte sussulto comune a tutto il Continente, una solidarietà finalmente condivisa, alla stregua di quanto prevedono gli stessi Trattati, ad esempio, nel caso di un’aggressione militare.
Ciononostante, lo scorso 28 aprile l’Unione europea, in piena crisi epidemica, ha trovato il tempo di firmare l’ennesimo atto liberista ed autolesionista: un accordo di libero scambio della carne bovina con il Messico, mettendo, ancora una volta, gli agricoltori europei con le spalle al muro. Certo, l’arrivo della globalizzazione, favorita dal tramonto del regimo sovietico,ha segnato una nuova era per le regole economiche internazionali:libero scambio, sottomissione identitaria, diritti dell’uomo, multipolarismo in genere, sancendo di fatto il primato dei grandi “insiemi” sulle entità nazionali e sulle piccole patrie.
Il sistema di organizzazione sovranazionale ha enormemente arricchito gli Stati che più degli altri si sono adeguati alle nuove regole liberiste. Tuttavia, la crisi ha rimesso in causa il sistema di interdipendenza mondiale, ormai un avvenimento che colpisce uno Stato ne coinvolge l’intero sistema, e la crisi del covid19 ne è una nuova conferma. La pandemia che ha colpito in primis la Cina ha causato una destabilizzazione senza precedenti del sistema internazionale.
Numerosi politologi avevano denunziato i rischi che avrebbe comportato questa dipendenza dell’Europa, di fronte ad un mercato che non si riusciva più a gestire e sottolineavano l’esistenza di pratiche fuori da ogni controllo, come il dumping sociale o lo stesso concetto di guerra economica.
L’essere umano agisce per reazione, non è portato a prevenire, reagisce solo quando si rende conto di essere con le spalle al muro, anche questi grandi “insiemi” sembrano reagire in ritardo e spesso poco conseguentemente.
Le nostre riserve alimentari derivano soprattutto dalle produzioni europee e da quelle mondiali, creando spesso agli agricoltori europei l’ulteriore difficoltà di poter ricongiungere questi due mercati. Oggi, la firma degli accordi di libero scambio tra l’Europa ed i paesi Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale), come gli accordi contrastati Ceta col Canada, fortemente voluti dall’Esecutivo europeo, non costituiscono assolutamente un vantaggio per i nostri Paesi e men che meno potrebbero essere ritenuti effettivi vettori di patriottismo economico europeo.
Dimostrano piuttosto la debolezza delle nostre frontiere rendendo ineluttabile oggi il loro ripristino. Invece la difesa delle frontiere è stata affidata all’Europa attraverso il Frontex, i mercati pubblici vengono aggiudicati a industrie straniere a dispetto di quelle nazionali che, per di più, pagano il dumping imposto dal buonismo europeo. Ed ancora peggio, abbiamo consegnato la nostra dipendenza sanitaria vitale a Paesi che non esitano ad applicare obblighi economici contro i loro stessi concorrenti, come avviene con India o Taiwan, da parte della Cina. Siamo così diventati vassalli delle grandi potenze economiche.
Anche se l’idea del patriottismo economico non rappresenta certamente una nuova filosofia, oggi sembra ormai, una misura essenziale per poter rilanciare l’economia continentale, ancora una volta succube di un mercato mondializzato, fuori da ogni controllo.
Eugenio Preta