Eurogruppo: il gioco delle tre carte
Ci sarà pure stata una ragione perché un amico che aveva lunghe “frequentazioni” in Europa, venuto a sapere della mia intenzione di trasferirmi all’estero, azzardò un consiglio che, negli anni ho verificato essere giusto: “quando sentirai parlare in italiano, peggio in siciliano, scappa lontano, nega di capire, perché come minimo ti chiederanno soldi e generosa ospitalità”.
Erano i tempi dell’integrazione, il trasferire nei Paesi elettivi usi e tradizioni di quelli originari per salvaguardare le proprie radici, le proprie origini. Poi l’integrazione venne sostituita dall’assimilazione, una spugna che, favorita dal dogma multipolare vigente e dal globalismo imperante, cancellò usi, lingue e tradizioni, mettendo definitivamente nella scansia degli affetti perduti, i consigli di Nino, quel mio amico tanto solerte.
Che noi italiani siamo ritenuti più intelligenti e più furbi rispetto agli altri popoli è una leggenda che deve essere subito smentita: non risponde al vero. Prendiamo come ultimo esempio le decisioni del passato Eurogruppo europeo, che avrebbe dovuto varare misure basilari per risollevare le sorti degli Stati colpiti dall’epidemia Cvd 19 ma che, purtroppo per noi, in questo momento rappresenta perfettamente il gioco delle tre carte (di cui peraltro noi italiani dovremmo essere i maestri) che ci hanno imposto i tedeschi e gli olandesi, a margine degli accordi. Da tempo vi avevamo avvisato di stare attenti a chi avremmo concesso la nostra rappresentanza istituzionale.
In occasione delle ultime elezioni europee avevamo detto che quelle consultazioni sarebbero state importanti perché avrebbero deciso con la qualità degli eletti, anche quella del nostro paese… beh, cosa fatta… basta scorrere l’elenco dei nostri eurodeputati, pur con sporadiche eccezioni, per capire.
L’accordo che il premier Conte – ancora più grave perché responsabili di tutte le discussioni il ministro Gualtieri e il commissario Gentiloni – è stato presentato come un loro “successo” in seno ai paesi dell’Eurogruppo, ma purtroppo non è positivo per l’Italia e per tutta l’Europa meridionale. Come spesso vi abbiamo detto commentando quello che succede al Justus Lipsius, la sede del Consiglio a Bruxelles, un ministro delle Finanze italiano insieme al suo presidente, per sudditanza psicologica e la voglia di farsi prendere in considerazione e “last not least“ per incompetenza, hanno accettato un accordo che ha messo il cappio all’avvenire del nostro Paese.
Ma che… ci sono o ci fanno? Se leggiamo l’excursus politico (sic) di queste autorità beh, forse una spiegazione la troviamo pure. Poi i giornali asserviti al verbo federalista cercano pure di spostarla nelle logiche della dialettica politica, noi diciamo che l’interesse e l’avvenire del Paese non c’entrano con le beghe politiche. I due compari, come Peppino e Totò a Milano, sono stati imbrogliati dal gioco delle tre carte che tedeschi e olandesi hanno preparato… ed in questo momento ancora si sbellicano dalle risate.
In questo gioco “della carta vince e della carta perde”, sicuramente abbiamo notato che una carta non è stata la solidarietà tanto sbandierata da gente cinica e neanche una seconda, quella della concessione dello sforamento del 2%. La carta vincente è stata semplicemente l’accordo per procedere col MES, una trappola per il Paese, il nostro, che contribuisce di più a questo fondo surrealista che farà conoscere le sue conseguenza nei prossimi mesi.
Il fondo salva Stati (MES) che tanto generosamente ci viene offerto (sempre a pagamento di interessi e penalizzazioni futuri) non costituisce senza alcun dubbio quel contributo solidaristico che l’Europa avrebbe dovuto garantire, perché dietro le spese sanitarie consentite per fronteggiare il Covid19, temporaneamente e senza condizioni, si applicheranno per intero le regole del Mes con il suo puzzle di prestiti, pochi, e rimborsi, molti.
Avremmo dovuto tenere presente che tutto il mondo è paese e che l’umanità si divide sempre tra furbi e incompetenti, peggio se questi sono come Calandrino, Bruno e Buffalmacco…
Eugenio Preta