Epidemie ed etica politica
Le epidemie sono state il viatico che i nostri progenitori hanno pagato al progresso, insieme a quello sradicamento che tanti di loro, partendo, avevano implicitamente accettato. L’emigrazione era il tributo alle conquiste che il mondo imponeva.
Oggi che la società post-industriale ha messo praticamente fuori gioco le emigrazioni, anche i valori tradizionali fondanti, sono rimasti, purtroppo, talmente invischiati al costume fino a divenirne parte integrante. E questo assunto in Sicilia diventa attuale e incontrovertibile.
Se la società contemporanea ha dimostrato di aver saputo debellare le epidemie, la Sicilia dimostra di non saper ancora vincere quella malattia che si chiama improvvisazione, lasciare andare, pressapochismo o, peggio, prevaricazione.
Malattia siciliana – ma non solo – che colpisce quanti ricoprono pubblici incarichi e soprattutto i politici. Uffici e funzionari che si palleggiano le responsabilità, politici che hanno perso ormai il contatto con il territorio e con la gente, la corruzione impera, vige ancora il “lei-non-sa-chi-sono-io”.
Tutti propugnano un nuovo che, dopo gli squallori del passato, non riesce ancora ad imporsi, anzi si dimostra ancora più subdolo del vecchio, tanto odiato e contestato. La politica cerca ancora le vie di un rinnovamento, ma si avvinghia come un serpente alle spire del potere rendendo vano, fino a che non avrà ritrovato un afflato morale, il tentativo di cambiare.
Abbiamo più volte confutato le critiche che ci accusano di spingere al parossismo la nostra sicilianità ma, onestamente, come rimanere in silenzio di fronte agli scempi, non soltanto quelli estetici o paesaggistici (tanti), ma anche a quelli etici che deve subire la nostra Isola?
Verso la fine dell’800 le province siciliane erano state colpite da una gravissima epidemia di colera che non si riusciva a debellare, tanto che si era diffusa la convinzione che ci fosse qualcuno che avesse introdotto il batterio nell’Isola, a bella posta. Si sviluppò quindi una duplice teoria: quella cosiddetta dei ‘baddisti’, secondo cui il contagio veniva propagato da una sorta di untori prezzolati dal governo che distribuiva polpette avvelenate per risolvere I problemi demografici, e quella dei ‘culunnisti’, più buonista, secondo cui, il contagio era dovuto al trasporto del virus da parte dei venti, precisamente dallo Scirocco.
La società siciliana oggi vive, come abbiamo appurato con questa epidemia coronavirus ,la mancanza di una classe politica che si fondi su salde basi morali – si pensi ad esempio allo squallido quadro che ci offre il governo della Regione, che apre e chiude le maggioranze pur di restare al potere e si perde nella ricerca dei baddisti o dei culunnisti, senza rendersi conto del bisogno di una classe dirigente che metta finalmente alla porta untori e mafiosi; che faccia propri comportamenti trasparenti e decisioni prese nell’interesse della gente. Una classe politica che finalmente dimostri di non essere attaccata al potere ma di perseguire il bene collettivo; una classe politica che smetta gli inciuci finalizzati a conservare poltrone e prebende; una classe politica che si opponga allo scempio ambientale della nostra bella terra, alla prevaricazione dei sindaci che tradiscono chi li ha votati; una classe politica che renda obbligatorie pratiche di ordinaria amministrazione, come ad esempio l’apertura dei musei in periodo estivo (la vergogna siciliana di ferragosto) e ne consenta la fruizione a quelle migliaia di turisti che visitano la nostra Isola, oltre che per il mare e il sole, soprattutto per il suo patrimonio architettonico e culturale purtroppo lasciato all’abbandono; una classe politica che si faccia valere e impedisca le privatizzazioni, sempre a vantaggio nordista; una classe politica che combatta i tentacoli mafiosi dimostrando che mafia non può avere, come accade oggi, ci duole dirlo, matrice politica.
Neanche noi vorremmo perciò essere considerati baddisti, nè culunnisti: vorremmo soltanto che il colera della società siciliana potesse venire debellato con il concorso di tutti i siciliani, soprattutto quelli che hanno responsabilità istituzionali. Quanto detto, mutuato da una commedia di Nino Martoglio, vuole essere quindi un richiamo ai Siciliani di buona volontà (e morale) affinchè si impegnino per far sì che i politici, a cui hanno delegato il loro avvenire e quello della Sicilia, si dotino finalmente di un’etica che oggi, dalla Sicilia, è preoccupantemente lontana e colpevolmente assente.
Eugenio Preta